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10. Art. 292, comma I, lett. c) e la motivazione “per relationem”
Come noto, la legge aprile 2015, n. 47 ha notevolmente rafforzato il sistema di garanzie processuali del singolo in materia cautelare mediante la previsione, in particolare, di nuovi e più gravosi oneri motivazionali in capo all’organo giudicante.
Oltremodo significativo la riguardo appare, proprio, l’art. 292, comma I, lett. c) c.p.p.
Tale disposizione, invero, statuisce che il giudice, nell’ambito della ordinanza genetica, debba necessariamente indicare “l’esposizione e l’autonoma valutazione delle specifiche esigenze cautelari e degli indizi che giustificano in concreto la misura disposta, con l’indicazione degli elementi di fatto da cui sono desunti e dei motivi per i quali essi assumono rilevanza, tenuto conto anche del tempo trascorso dalla commissione del reato”.
Come spesso accade, tuttavia, la prassi giudiziaria non rende onore agli intenti del legislatore. Ed invero, a fronte di un onere motivazionale siffatto, accade che i giudicanti si limitino a trasporre pedissequamente le considerazioni e le argomentazioni svolte dal Pubblico Ministero nell’istanza di applicazione della misura.
Un modus operandi siffatto, è evidente, rischia di svuotare di significato la disposizione predetta e, pertanto, di renderla inidonea a tutelare le ragioni di garanzia che ne giustificano l’introduzione nel codice di rito.
E che tale metodologia contrasti con la ratio stessa della riforma del 2015 emerge, con evidenza, anche alla luce di quanto attestato sul punto dalle Sezioni Unite le quali rilevano come il summenzionato intervento normativo sia finalizzato proprio a “sanzionare qualsiasi prassi di automatico recepimento, ad opera del giudice, delle tesi dell’ufficio richiedente, così da rendere effettivo il doveroso controllo giurisdizionale preteso dalla Costituzione prima che dalla legge ordinaria, e da rendere altresì forte la dimostrazione della specifica valutazione dell’organo giudiziario di prima istanza sui requisiti fondanti la misura” (Cass., SS.UU., sentenza 31 marzo 2016, n. 18954).
Ebbene, a fronte di ciò, ci si potrebbe legittimamente chiedere se le tipologie di motivazione cd. “per relationem” o “per incorporazione” possano essere compatibili con l’onere argomentativo introdotto dall’art. 292, comma I, lett. c) c.p.p.
Al riguardo, la Suprema Corte ha recentemente statuito che le predette tecniche motivazionali sono in astratto idonee a soddisfare le istanze di garanzia sottese alla riforma del 2015, ma con i dovuti considerando.
Ed invero, i giudici di legittimità hanno preso, anzitutto, fermamente le distanze da un orientamento ermeneutico che riteneva sufficiente una motivazione “copia-incolla” nel caso in cui l’ordinanza avesse accolto solo parzialmente le richieste della pubblica accusa. Il rigetto parziale, infatti, sarebbe dimostrativo di quella “valutazione autonoma”, critica e non meramente adesiva, richiesta dall’art. 292, comma I, lett. c) c.p.p.
Accantonato, pertanto, il predetto approccio interpretativo, la Suprema Corte ha puntualizzato che – per quanto non sia necessaria una riscrittura integrale delle motivazioni che giustificano l’adozione della misura cautelare – è necessario che dal provvedimento applicativo emerga inequivocabilmente l’avvenuta ponderazione, da parte del magistrato, degli elementi di fatto enucleati nell’atto richiamato od incorporato e che la portata dimostrativa tali elementi sia stata valutata alla luce dei consueti parametri normativi.
Il giudicante, in altri termini, deve sottoporre ad un vaglio critico le rivenienze investigative evidenziate dal Pubblico Ministero nella relativa istanza e ciò, mediante una attività ricostruttiva autonoma della quale deve rinvenirsi traccia nel provvedimento decisionale.
In conclusione, afferma la Corte di Cassazione che ”mentre gli elementi fattuali possono essere trascritti…così come indicati nella richiesta del Pubblico Ministero e senza alcuna aggiunta, costituendo il dato oggettivo posto alla base della richiesta, per ciò che concerne il profilo prettamente valutativo, è essenziale che lo stesso sia esplicitato, trattandosi del dato realmente qualificante la decisione assunta”.