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A lungo si è dibattuto in ordine all’istituto della remissione tacita della querela e, segnatamente, sul fatto che la mancata comparizione del querelante in occasione della prima udienza dibattimentale potesse, o meno, integrare siffatta circostanza.

Ebbene, la Suprema Corte è, di recente, tornata a ribadire il seguente principio di diritto, dando, quindi, risposta affermativa al quesito dianzi riportato: “Integra remissione tacita di querela la mancata comparizione alla udienza dibattimentale del querelante previamente ed espressamente avvertito dal giudice che l’eventuale sua assenza sarà interpretata come fatto incompatibile con la volontà di persistere nella querela”.

È solo il caso preliminarmente di ricordare come, ai sensi dell’art. 152 c.p., la remissione della querela, che cagiona l’estinzione del reato, può essere “processuale” o “extraprocessuale”, a seconda della “sede” in cui interviene (durante il giudizio o al di fuori dello stesso).

In tale ultima ipotesi, la remissione di querela può assumere la forma cd. espressa ovvero cd. tacita e cioè, allorché il querelante ponga in essere “fatti incompatibili con la volontà di persistere nella querela”, quali, per esempio, l’assenza in occasione della udienza di comparizione.

E dunque, riprendendo il principio testé richiamato emerge con immediatezza come i giudici di legittimità abbiano, da un lato, confermato che la mancata comparizione in udienza della persona offesa può configurare una ipotesi di remissione tacita della querela e, dall’altro lato, hanno specificato che tale effetto può verificarsi solo se il querelante sia stato preventivamente avvisato delle conseguenze giuridiche del comportamento omissivo.

Resta inteso, ovviamente, che siffatte considerazioni valgono nella misura in cui il reato per cui si procede configuri una fattispecie punibile a querela di parte. Ove, di contro, il fatto contestato fosse un reato procedibile d’ufficio, l’assenza della persona offesa non osta alla prosecuzione del giudizio.

Secondo la Suprema Corte, peraltro, che richiama un precedente arresto delle Sezioni Unite (SS.UU., sent. 21 luglio 2016, n. 31688), tale principio di diritto trova il proprio fondamento giuridico nel combinato disposto dell’art. 555, comma 3 c.p.p. e dell’art. 90-bis, comma 1, lett. n), c.p.p.

La prima delle summenzionate disposizioni normative, come noto, stabilisce che, in occasione della udienza di citazione diretta a giudizio, “il giudice, quando il reato è perseguibile a querela, verifica se il querelante è disposto a rimettere la querela e il querelato ad accettare la remissione”.

L’art. 90bis, comma 1, lett. n), c.p.p., inoltre, prevede che, tra le informazioni che l’autorità giudiziaria deve fornire alla persona offesa, sin dal primo incontro, vi sia quella relativa “alla possibilità che il procedimento sia definito con remissione di querela di cui all’art. 152 del codice penale […]”.

È proprio, infatti, in ragione di tali previsioni, dirette a “rafforzare le esigenze informative delle vittime dei reati”, che il giudicante è chiamato ad avvisare il querelante-persona offesa delle conseguenze giuridiche della sua assenza in occasione della udienza dibattimentale.

Benché, quindi, l’avvertimento predetto non venga espressamente previsto in nessuna disposizione normativa, rappresenta, a parere dei giudici di legittimità, una prassi non solo del tutto “legittima” bensì persino “auspicabile” al fine di rafforzare le esigenze informative della persona offesa.

La Corte di Cassazione, inoltre, si esprime in ordine alla posizione dell’imputato.

Ed invero, anche l’assenza del querelato in occasione della udienza dibattimentale ha importanti conseguenze in termini di volontà di ricusazione della remissione della querela.

Sul punto, occorre ricordare come, ai sensi dell’art. 155, comma 1, c.p., “la remissione non produce effetto, se il querelato l’ha espressamente o tacitamente ricusata […]”.

La mancanza di ricusazione, quindi, è condizione essenziale affinché la remissione di querela sia in grado di produrre effetto in termini di estinzione del reato.

Ove, quindi, il querelato non si presentasse alla udienza di comparizione, il giudicante potrebbe presumere da tale atteggiamento che il predetto non abbia intenzione di ricusare la remissione della querela e, quindi, “accetti” tale remissione e le relative conseguenze (emissione di sentenza a non doversi procedere per intervenuta estinzione del reato).

La Cassazione però, chiarisce che, affinché l’assenza in udienza del querelato possa valere quale mancanza di ricusa, quest’ultimo – al pari del querelante – deve essere stato previamente avvertito dal giudicante in ordine al significato della sua mancata comparizione.

La Suprema Corte, in conclusione, sottolinea come gli avvertimenti al querelante e al querelato in ordine alle conseguenze derivanti dalla loro eventuale assenza, si giustifichino anche con riferimento alla esigenza di garantire la ragionevole durata del processo, consacrata, come noto, dall’art. 111, comma 2, Cost.

Gli avvisi da parte del giudice, infatti, sono finalizzati, nella sostanza, a far emergere l’eventuale venir meno del “perdurante interesse della persona offesa all’accertamento delle responsabilità penali” e permettono di escludere “sin dalle prime battute lo svolgimento di sterili attività processuali destinate a concludersi comunque con un esito di improcedibilità dell’azione penale o di estinzione del reato”.

 

– Cass. Sez. II, sent. 28 febbraio 2020, n. 8101 –

– Cass. SS. UU., sent. 21 luglio 2016, n. 31668 –