Presidente Fumo, Relatore De Marzo: «Il collegio ritiene – scrive la Corte –, in adesione alla prevalente dottrina, che la dichiarazione di fallimento costituisca, rispetto al reato di bancarotta prefallimentare condizione obiettiva di punibilità ai sensi dell’art. 44 c.p.».
Dottrina e giurisprudenza, per anni, si sono scontrante sul punto, laddove, la prima, riteneva il fallimento una condizione oggettiva di punibilità, di guisa che esso non sarebbe elemento costitutivo della fattispecie e non dovrebbe pertanto essere abbracciato dall’elemento psicologico del dolo. La seconda, invece, tra cui le Sezioni Unite Mezzo del 1958, usava qualificare la sentenza fallimentare come elemento costitutivo del reato (se non, addirittura, come proprio evento del reato).
Ebbene, secondo al Quinta Sezione penale, la dichiarazione è da considerarsi, in definitiva, come condizione obiettiva di punibilità giacché, «non aggrava in alcun modo l’offesa che i creditori soffrono per effetto delle condotte dell’imprenditore; ne consegue che, in quanto evento estraneo all’offesa tipica e alla sfera di volizione dell’agente, rappresenta una condizione estrinseca di punibilità che restringe l’area del penalmente illecito, imponendo la sanzione penale solo in quei casi nei quali alle condotte del debitore, di per sé offensive degli interessi dei creditori, segua la dichiarazione di fallimento».
Testo della sentenza