Con il provvedimento in epigrafe, il legislatore nostrano è finalmente addivenuto ad una riforma della disciplina contro la corruzione nel settore privato, intervento teso, in primis, a rendere la normativa interna maggiormente conforme alle previsioni comunitarie (decisione quadro 2003/568/GAI).
È di tutta evidenza – alla luce delle modifiche ed innovazioni in concreto apportate – che l’intenzione sottesa alla presente riforma fosse quella di prevedere una reazione più decisa e maggiormente strutturata al fenomeno – tristemente dilagante nel nostro ordinamento – della corruzione nel settore privato.
Ed invero, si rileva in primo luogo come la riforma del 2017 abbia esteso il novero dei soggetti attivi ben oltre la ristretta cerchia di coloro che rivestono una posizione apicale nell’ambito della società o dell’ente coinvolto dal fenomeno corruttivo, essendo perseguibili, per le condotte di cui al comma primo dell’art. 2635 c.c., anche “chi nell’ambito organizzativo della società o dell’ente privato esercita funzioni direttive diverse da quelle proprie dei soggetti di cui al precedente periodo”. In punto di condotta penalmente rilevante, inoltre, la riforma del 2017 ha pregevolmente ampliato lo spettro applicativo della disposizione in esame, facendovi rientrare, non solo, la condotta di compiere ovvero omettere atti contrari agli obblighi d’ufficio a seguito della datio o della promessa di denaro o altra utilità, ma anche il mero “sollecitare” o ricevere tali benefici (o la loro promessa) “per compiere o per omettere un atto in violazione degli obblighi inerenti al loro ufficio o degli obblighi di fedeltà”.
Non di minor pregio risulta la soppressione del sintagma “cagionando nocumento alla società”, con quel che ne consegue in termini di punibilità in concreto della condotta.
La riforma in esame, poi, al di là delle modifiche apportate all’art. 2635 c.c., ha introdotto una nuova fattispecie di reato, la cd. istigazione alla corruzione tra privati. Al pari rispetto a quanto previsto nel codice penale, l’art. 2635-bis c.c. punisce “chiunque” prometta denaro o altra utilità non dovuti, ai soggetti di cui al comma primo dell’art. 2635 c.c., i quali, peraltro, sempre in forza della medesima diposizione, sono perseguibili anche laddove sollecitino, per se’ o per altri (anche per interposta persona), “una promessa o dazione di denaro o di altra utilità, per compiere o per omettere un atto in violazione degli obblighi inerenti al loro ufficio o degli obblighi di fedeltà, qualora la sollecitazione non sia accettata”.
V’è, infine, da rilevare come, sempre in coerenza con l’intento repressivo della presente riforma, sia stato modificato anche il d.lgs. 231/2001, il quale all’art. 25-ter (innovazione non di poco conto) annovera tra le fattispecie rilevanti ai fini della cd. responsabilità amministrativa delle persone giuridiche, anche il delitto di ci all’art. 2635 c.c. e 2635-bis c.c.