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L’Ufficio del Massimario della Corte di Cassazione si è pronunciato in merito alle novità normative vertenti sull’emergenza Covid-19, sia in ambito contrattuale che concorsuale con la Relazione tematica n. 56/2020 (la “Relazione”).

A tal proposito, la Cassazione ha compiuto un endorsement in favore della rinegoziazione come soluzione per riequilibrare i rapporti commerciali in seguito alla crisi sanitaria, affermando l’esistenza di un dovere di rinegoziazione a carico della parte avvantaggiata sulla base del principio di buona fede oggettiva.

Tuttavia, restano alcune criticità legate ai parametri di giudizio di cui dispone il Giudice per analizzare la rinegoziazione e al provvedimento di cui dispone l’Autorità giudiziaria in caso di fallimento dell’attività rinegoziativa.

Premesso che non è possibile affidare la rinegoziazione all’autonomia privata dei contraenti, avendo questi ultimi spesso interessi contrapposti, è necessario quindi individuare le fondamenta giuridiche per una rinegoziazione che non sia volontaristica, ma obbligatoria ex lege.

Sul tema vi sono in dottrina due tesi contrapposte.

1. La prima, secondo cui nei contratti di durata, come ad esempio il contratto di locazione, quando al momento della stipula del contratto insorgono degli eventi che modificano in modo significativo l’originario equilibrio delle prestazioni dei contraenti (come è il caso della pandemia) sorge in capo alle parti un dovere di cooperazione in merito alla rinegoziazione del contratto, così che il contenuto dello stesso torni a essere più congruo rispetto a quelli che sono gli interessi dei soggetti contrattuali.

Il fondamento giuridico di tale dovere lo si trova all’articolo 1375 c.c. che prevede il principio di buona fede con riferimento all’equilibrio e alla congruità delle prestazioni oggetto del contratto .

2. La seconda, secondo cui un intervento sull’equilibrio dei contratti da parte del Giudice potrebbe portare sia a una compressione eccessiva dell’autonomia privata e del principio della libertà di iniziativa economica che a una reazione a catena difficile da controllare, poiché i creditori di obbligazioni pecuniarie sono a loro volta debitori di ulteriori obbligazioni pecuniarie che potrebbero quindi non essere adempiute.

La Relazione, oggetto dell’articolo, si schiera a favore della prima tesi.

Lo fa, innanzitutto, alla luce del principio generale del nostro ordinamento che tende alla conservazione del contratto, principio di cui l’art. 1467 c.c. è espressione e che ritroviamo anche all’articolo 1664 c.c. in riferimento all’appalto e all’articolo 1623 c.c. in riferimento all’affitto e, poi, alla luce dell’art. 1375 c.c. che prevede il principio della buona fede oggettiva con riferimento all’esecuzione del contratto, il quale si collega all’art. 2 della Costituzione che prevede un inderogabile dovere di solidarietà.

Alla luce di ciò, è possibile un intervento equitativo del Giudice con funzione correttiva, secondo l’art. 1374 c.c.

Successivamente, la Relazione approfondisce l’oggetto del dovere di rinegoziazione. La Cassazione afferma che il contraente avvantaggiato dall’evento debba “impegnarsi a porre in essere tutti quegli atti che, in relazione alle circostanze, possono concretamente consentire alle parti di accordarsi sulle condizioni dell’adeguamento del contratto, alla luce delle modificazioni intervenute”, conducendo le trattative alla luce dei principi di correttezza e buona fede.

Resta comunque doveroso precisare che quanto appena detto, non implica, in alcun modo, un obbligo di risultato.

Infine, la Relazione si sofferma, a nostro avviso in maniera insufficiente, sul ruolo del Giudice di fronte a una rinegoziazione non posta in essere o fallita.

Premettendo che, nell’ipotesi in cui le parti in seguito a una rinegoziazione del contratto giungano a una modifica dell’accordo, secondo la nostra opinione, un intervento del Giudice è sempre da escludersi, il tema dell’intervento dell’Autorità giudiziaria nel caso di una negoziazione fallita si snoda in due argomenti distinti, ma allo stesso tempo in correlazione fra di loro.

Il primo argomento riguarda i criteri alla luce dei quali il Giudice verifica la correttezza del comportamento delle parti durante la rinegoziazione, mentre il secondo riguarda l’ambito di intervento del Giudice, in seguito a una rinegoziazione mai intrapresa o fallita.

Ad esempio, in una rinegoziazione con ad oggetto un canone di locazione, il Giudice dovrà verificare se la richiesta di riduzione del canone possa configurarsi come equa e quindi proporzionata al mancato godimento dei locali durante il periodo di chiusura di questi ultimi causa Covid-19 e/o alla diminuzione del fatturato e ai maggiori costi

Si tratta di una valutazione complessa, che quindi richiede specifiche linee guida e determinati parametri, al fine di evitare di sfociare nel libero arbitrio.

Innanzitutto, è escluso che il Giudice possa sostituirsi ai contraenti nella determinazione del contenuto del contratto a meno che non siano chiari dal  regolamento contrattuale “i termini in cui le parti hanno inteso ripartire il rischio derivante dal contratto”.  Solo in questo caso il Giudice potrà intervenire sul contenuto del contratto in chiave interpretativa alla luce dell’articolo 1366 c.c.

Tuttavia, si tratta di un’ipotesi poco frequente, in quanto è più facile che i contraenti forniscano elementi per l’intervento nella fase successiva della trattazione.

Per questo motivo, sarebbe meglio, a nostro giudizio, che al Giudice fosse consentito di analizzare e valutare ulteriori elementi, non presi in considerazione dai contraenti al momento della stipula del contratto e della successiva rinegoziazione, tra cui ad esempio analisi di mercato, dichiarazione dei redditi o bilanci.

Infine, laddove vi siano i presupposti indicati dalla Cassazione, la Relazione individua l’art. 2932 c.c., che prevede l’obbligo a contrarre, quale fondamento giuridico per un intervento dell’Autorità giudiziaria.

In conclusione, quindi, secondo la Relazione, laddove uno dei contrenti sia inadempiente, alla luce dei parametri di valutazione di cui dispone il Giudice e alla luce del principio di buona fede e correttezza, rispetto all’obbligo di rinegoziazione del contratto, l’Autorità giudiziaria potrà sostituirsi alle parti “pronunciando una sentenza che tenga luogo dell’accordo di rinegoziazione non concluso, determinando in tal modo la modifica del contratto originario”.

Avv. Luca Membretti