Particolare interesse rivestono le riflessioni formulate da Confindustria sul D.D.L. AC 1189, denominato “Misure per il contrasto dei reati contro la pubblica amministrazione in materia di trasparenza dei partiti e dei movimenti politici”. Se, infatti, da un lato Confindustria accoglie con favore talune innovazioni, dall’altro, quest’ultima non esita a censurare l’impronta eccessivamente repressiva che sembra connotare il presente disegno di legge.
Con favore viene, in particolare, accolta la nuova causa di non punibilità prevista per coloro che, avendo realizzato condotte riconducibili alle fattispecie di corruzione, induzione indebita e traffico illecito di influenze, denuncino spontaneamente tali comportamenti, fornendo informazioni utili all’individuazione delle fonti di prova e dei eventuali altri co-responsabili. La predetta scriminante, peraltro, opererebbe solo laddove il “ravvedimento” intervenisse entro sei mesi dalla commissione del reato e prima della iscrizione nel registro degli indagati del denunciante. Confindustria invita, altresì, il Legislatore ad estendere la suindicata innovazione anche all’ente persona giuridica il quale collabori attivamente all’emersione di pratiche distorsive del regolare andamento della pubblica amministrazione e, pertanto, ad intervenire in tal senso sul D.Lgs. 231/2001.
Di diverso segno sono, tuttavia, le considerazioni svolte da Confindustria in ordine alle misure più spiccatamente repressive proposte dal presente D.D.L. Trattasi, essenzialmente, dell’inasprimento delle pene accessorie rivenienti dalla condanna per i reati contro la pubblica amministrazione (interdizioni dai pubblici uffici e incapacità di contrattare con la P.A.), il quale non sembrerebbe tenere adeguatamente conto delle esigenze del mondo produttivo.
Il progetto di legge, invero, interviene sulla forbice edittale delle suindicate sanzioni elevandolo fino ad un minimo di cinque anni ed un massimo di sette. Si ricorda, al riguardo, che le pene accessorie sono applicabili ad ogni condanna alla reclusione fino a due anni per reati contro la pubblica amministrazione di talché la durata minima della sanzione accessoria sarebbe maggiore di quella massima prevista per la pena principale.
La presente innovazione, inoltre, riduce l’ampiezza dei confini edittali delle sanzioni di cui sopra (oggi l’incapacità di contrattare con la P.A. può essere disposta per un minimo di un anno e un massimo di cinque anni). Ne deriva, pertanto, l’invitabile diminuzione del margine discrezionale concesso al giudice nella ponderazione della durata della sanzione accessoria, da parametrarsi, come noto, alle peculiarità del caso concreto nonché all’entità della pena principale.
Confindustria censura, inoltre, le modifiche formulate in ordine alla previsione di perpetuità delle sanzioni accessorie la quale scatterebbe, in forza del D.D.L., in caso di condanna alla reclusione superiore ai due anni. Tale “soglia minima” appare inadeguata anche in ragione del fatto che la media delle pene previste per i delitti alla commissione dei quali conseguirebbero le sanzioni interdittive perpetue è di quattro anni. Sicché, come è evidente, la pena perpetua, che dovrebbe rivestire il carattere di residualità applicandosi alle ipotesi criminose più gravi, verrebbe applicata pressoché di default.
Confindustria, in ultimo, si è, altresì, soffermata sulle proposte di modifiche avanzate dal D.D.L. in esame in materia di responsabilità amministrativa degli enti.
Anche in questo caso, infatti, l’intervento mira ad inasprire significativamente le sanzioni interdittive applicabili alle imprese quale conseguenza per i reati di concussione, corruzione, induzione indebita a dare o promettere utilità. Tale aggravio sanzionatorio postulerebbe, addirittura, la necessità di introdurre una deroga espressa alla disciplina generale di cui all’art. 13, comma II, D.Lgs. 231/2001 il quale fissa la durata delle sanzioni interdittive a carico dell’ente in mesi tre, come minimo, e in anni due, come massimo. Il D.D.L., di contro, stabilisce un ambito edittale che va da anni cinque ad anni dieci e ciò, all’evidente scopo di allineare il D.Lgs. 231/2001 con le disposizioni previste dal disegno di legge per le persone fisiche.
Sul punto, Confindustria ha correttamente rilevato come non sia possibile traslare rigidamente lo schema della responsabilità personale in capo all’impresa. È stato, inoltre, evidenziato come l’impresa rappresenti un valore per la collettività tale per cui non è possibile intervenire in subiecta materia pretermettendo qualsivoglia valutazione in ordine all’impatto che il nuovo sistema sanzionatorio avrebbe sull’interesse superindividuale della continuità produttiva.
I correttivi introdotti dal D.D.L. in tema di responsabilità amministrativa degli enti, tuttavia, non sembrano tenere adeguatamente conto dei suindicati profili posto che le presenti misure, applicate per una durata che va da cinque a dieci anni, non potranno che portare alla chiusura della impresa. Con tutto quel che ne consegue, si intende, in termini occupazionali e, appunto, collettivi.
– Commissioni riunite Giustizia e Affari Costituzionali