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Sul tema, la Seconda Sezione Penale del Tribunale di Milano si è apertamente schierata, con ordinanza del 6 aprile 2017, a favore della teoria cd. concorsuale, in base alla quale tra ente ed individuo sussisterebbe, non solo, un concorso, ma, addirittura, un concorso necessario nel reato.
Ed invero, affinché possa ritenersi sussistente una forma di responsabilità in capo alla persona giuridica, occorre comunque che un reato-presupposto sia stato commesso dalla persona fisica (sul punto, cfr. Cass. Pen., Sez. Unite, 27 marzo 2008, n. 26654). Sulla base di tale presupposto – in forza del quale l’ente imputato e il soggetto autore del reato presupposto sarebbero avvinti da una responsabilità “cumulativa” – la corte milanese escluso la possibilità per l’ente imputato ex art. 8 d.lgs. 231/2001 di costituirsi parte civile nell’ambito del procedimento avente ad oggetto il reato imputatogli e nei confronti dei propri dirigenti. La ragione di tale conclusione, peraltro, si fonda sul notorio principio in base al quale un soggetto che rivesta la qualifica di imputato non possa dolersi – e, pertanto, richiedere la ristorazione – dei danni cagionati dal reato che ha concorso a causare.
L’ente imputato (rectius, coimputato), in conclusione, non potrà costituirsi parte civile nell’ambito del medesimo procedimento nei confronti dei propri dirigenti, giacché, diversamente opinando, “l’ente finirebbe con il dolersi e pretendere il risarcimento da quei soggetti legittimati ad agire in nome e per suo conto che hanno posto in essere la condotta imputata anche a vantaggio e nell’interesse dell’ente medesimo nell’ambito di un rapporto criminale che l’ultima pronuncia della Suprema Corte sopra riportata ha definito sostanzialmente concorsuale nel medesimo reato”.