Il reato di sottrazione fraudolenta al pagamento delle imposte (art. 11, D.Lgs. 74/2000), come recentemente ribadito dalla Suprema Corte (cfr. Cass. Pen., Sez. III, sent. 10 aprile 2022, n. 15239), si configura solo ed esclusivamente in presenza di un debito fiscale, il quale potrà essere non definitivo ma pur sempre esistente.
La Corte ha, segnatamente, statuito che:
“La condotta fraudolenta deve essere rivolta a sottrarsi al pagamento delle imposte e in caso di assenza di debito fiscale non può configurarsi nessuna condotta fraudolenta (intenzionalmente rivolta, appunto, a sottrarsi al pagamento)”,
ribadendo, in tal modo, il nesso sussistente tra il debito tributario e la fattispecie criminosa in discorso.
Nel caso che ne occupa, i ricorrenti venivano sottoposti a procedimento penale per il reato di cui all’art. 11, D.Lgs. 74/2000, per aver asseritamente simulato l’alienazione di alcuni immobili, al fine di sottrarsi al pagamento delle imposte relative alle annualità 2013-2014.
Nella fase delle indagini preliminari, il Pubblico Ministero formulava richiesta di misura cautelare, accolta dal Giudice per le Indagini Preliminari il quale emetteva decreto di sequestro preventivo a carico dei predetti ricorrenti. Sul punto, mette conto rilevare come, tanto, la richiesta dell’organo inquirente, quanto, il provvedimento applicativo della misura de qua, trovavano il loro fondamento logico-giuridico nella pendenza di un procedimento penale, per il diverso reato di cui all’art. 5, D.Lgs. 74/2000 per presunte omesse dichiarazioni IRES.
L’imposta al pagamento della quale, dunque, i ricorrenti avrebbero voluto fraudolentemente sottrarsi era, proprio, quella attenzionata nell’ambito del diverso procedimento per omessa dichiarazione. Se non fosse che all’esito della procedura testé richiamata, il Tribunale emetteva sentenza di assoluzione perché “il fatto non sussiste”.
Alla luce di siffatta circostanza, i ricorrenti-imputati hanno formulato – nel corso del dibattimento del procedimento avente ad oggetto il reato di sottrazione fraudolenta – richiesta di revoca del sequestro preventivo, vedendosi, tuttavia, rigettare tale richiesta, dapprima, dal giudice del dibattimento e, in secondo luogo, dal Tribunale del Riesame che confermava il provvedimento di rigetto.
Ebbene, la Suprema Corte ha censurato le decisioni dei giudici dei gradi inferiori i quali avrebbero errato nel non revocare la misura cautelare, predisponendo una motivazione del tutto apparente e, dunque, incorrendo in una violazione di legge, censurabile, come noto, dianzi alla Corte di Cassazione.
Come, infatti, è stato puntualmente rilevato, la valutazione in ordine alla fumus commissi delicti non può limitarsi alla astratta configurabilità del reato contestato ma
“deve tener conto, in modo puntuale e coerente, delle concrete risultanze processuali e dell’effettiva situazione emergente dagli elementi forniti dalle parti” (sul punto, ex plurimis, Cass. Pen., Sez. V, sent. 16 settembre 2014, n. 49596; Cass. Pen., Sez. II sent. 05 maggio 2016 n. 25320).
Nel caso di specie: l’intervenuta assoluzione dal reato di omessa dichiarazione e, dunque, il venire meno del presupposto logico-giuridico a fondamento del decreto di sequestro preventivo.
I giudici di legittimità, in applicazione del summenzionato principio di diritto, hanno, dunque, ritenuto non corretto l’operato del giudice del dibattimento e del Tribunale del Riesame i quali, invero, non avrebbero tenuto debitamente in considerazione le risultanze evidenziate dai ricorrenti e sostenuto la permanenza del debito tributario nonostante la suindicata pronuncia di assoluzione, senza, tuttavia, specificare le ragioni di tale asserzione né la tipologia del debito in oggetto.
A fronte, quindi, della pronuncia asssolutoria, non esisteva alcun debito fiscale relativamente al quale i ricorrenti avrebbero potuto (ancor prima che voluto) sottrarsi al pagamento e, pertanto, la richiesta di revoca avrebbe dovuto trovare accoglimento.
La fattispecie criminosa in oggetto, infatti, rappresenta, sì, un reato di pericolo, con tutto quel che, indubitabilmente, ne consegue in punto di anticipazione della soglia del penalmente rilevante, ma postula, in ogni caso, la “presenza di un debito fiscale anche se non ancora definitivo, ma pur sempre esistente”.
In altri termini e come, a più riprese, sostenuto dalla Suprema Corte,
“il delitto di sottrazione fraudolenta al pagamento delle imposte è reato di pericolo per il quale non rileva l’avvenuta emissione, in tutto o in parte, di cartelle esattoriali ma è richiesta soltanto l’esistenza di un credito erariale relativo, per capitale e/o interessi o sanzioni, ad imposte sui redditi o sul valore aggiunto, suscettibile di essere azionato coattivamente”
(cfr. anche: Cass. Pen., Sez. II, sent. 14 settembre 2021, n. 36138; Cass. Pen., Sez. III, sent. 30 settembre 2020, n. 37178; Cass. Pen., Sez. III, sent. 17 novembre 2017 n. 15133; Cass. Pen., Sez. III, sent. 05 luglio 2016 n. 3011; Cass. Pen., Sez. III, sent. 11 maggio 2016 n. 35853; Cass. Pen., Sez. III, sent. 24 febbraio 2016, n. 13233).