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Come è noto, la principale funzione dell’udienza preliminare risiede nella necessità di garantire all’imputato una valutazione in ordine alla fondatezza della richiesta di rinvio a giudizio, formulata dalla pubblica accusa a conclusione della fase dedicata alle indagini preliminari.
Il giudice dell’udienza preliminare, pertanto, sentito il Pubblico Ministero, reso edotto degli elementi che hanno giustificato l’esercizio dell’azione penale e ascoltate le parti private, è chiamato ad esprimere il proprio giudizio che, a seconda dei casi, può cristallizzarsi in una sentenza di non luogo a procedere (ex art. 425 c.p.p.), ovvero in un decreto di rinvio a giudizio (ex art. 429 c.p.p.).
Sussiste, tuttavia, una ulteriore possibilità. Ed invero, a norma dell’art. 33-sexies c.p.p., “se nell’udienza preliminare il giudice ritiene che per il reato deve procedersi con citazione diretta a giudizio pronuncia, nei casi previsti dall’articolo 550, ordinanza di trasmissione degli atti al pubblico ministero per l’emissione del decreto di citazione a giudizio a norma dell’articolo 552”.
La questio iuris sottoposta al vaglio della Suprema Corte attiene, proprio, alla latitudine del potere di rimessione attribuito al giudice in forza della norma testé richiamata.
Nel caso di specie, il Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Napoli lamentava, infatti, l’illegittimità del provvedimento di rimessione conseguente la riqualificazione in una diversa fattispecie di reato del fatto contestato (segnatamente, quella prevista dall’art. 73, co. V, d.P.R. 309/1990, in luogo del reato di cui all’art. 73, d.P.R. 309/1990) per la quale si sarebbe dovuto procedere a norma dell’art. 552 c.p.p.
La Corte viene chiamata, pertanto, a chiarire se, in ragione della predetta disposizione, il giudice possa procedere con la trasmissione degli atti al Pubblico Ministero solo in ipotesi di erronea formulazione della richiesta di rinvio a giudizio, in relazione al fatto così come contestato, ovvero anche laddove quest’ultimo venga riqualificato in sede di udienza preliminare.
Sul punto, la pronuncia in esame si rivela estremamente chiara e risolutiva.
Ed invero, attestano i giudici che il giudice dell’udienza preliminare può procedere alla rimessione degli atti a norma dell’art. 33-sexies c.p.p., unicamente laddove, appunto, ritenga che “per il reato”, così come indentificato dall’organo dell’accusa, “deve procedersi con citazione diretta a giudizio”. Trattasi, in altri termini, del caso in cui il Pubblico Ministero sia incorso in un errore nella formulazione della propria richiesta in quanto il reato per cui si procede impone la citazione diretta a giudizio.
Nel caso in cui, viceversa, il giudice ritenga che il fatto debba essere riqualificato e sussunto entro una diversa fattispecie astratta, quest’ultimo dovrà procedere a norma dell’art. 429 c.p.p., ossia modificando, nel decreto che dispone il giudizio, l’imputazione secondo il proprio diverso convincimento.
Abnorme si rivela, pertanto, l’ordinanza di trasmissione degli atti alla Procura disposta a seguito di autonoma riqualificazione del fatto contestato in sede di udienza preliminare.
Tale provvedimento, invero, comporterebbe un momento di stasi processuale giacché il Pubblico Ministero si troverebbe nella condizione di dover ottemperare all’indicazione indirizzatagli dal giudice senza, tuttavia, poter più formulare l’imputazione più corretta.

Cass., Sez. IV, 26 giugno 2018, n. 29334