Premessa
Alla luce della eccezionale situazione che ci vede tutti coinvolti, ho ritenuto opportuno procedere alla predisposizione della presente nota esplicativa in ordine alle potenziali ripercussioni della diffusione del Covid-19 sotto il profilo giuridico.
Trattandosi, invero, di una situazione emergenziale, per così dire, “omnicomprensiva” che pervade ogni aspetto della nostra vita quotidiana, la stessa determina conseguenze anche sul piano della posizione giuridica dei soggetti coinvolti.
Tale profilo, pertanto, merita una breve riflessione in modo da poter prevedere (e, quindi, monitorare e possibilmente contenere), quanto meno in abito giuridico, quali potrebbero essere gli effetti della attuale emergenza.
E’ mia intenzione, in particolare, soffermarmi sulle possibili conseguenze di natura penale in cui possono incorrere le imprese, tanto in qualità di datori di lavoro, quanto nella veste di enti esposti alla responsabilità amministrativa derivante da reato (D.lgs. 231/2001).
1. I LIMITI ALLE ATTIVITÀ PRODUTTIVE
Avendo, ad iniziare, riferimento ai limiti imposti all’operatività delle imprese nazionali, occorre richiamare le misure emergenziali disposte dal Governo per il contenimento del contagio e, segnatamente, quelle rivolte alle attività commerciali, produttive e professionali.
Al riguardo, viene, da ultimo, in rilievo il Decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri del 22 marzo 2020, il D.C.P.M. (“Ulteriori disposizioni attuative del decreto-legge 23 febbraio 2020, n. 6, recante misure urgenti in materia di contenimento e gestione dell’emergenza epidemiologica da COVID-19, applicabili sull’intero territorio nazionale”, pubblicato in Gazzetta Ufficiale n. 76 del 22 marzo 2020), il quale, all’art. 1, ha stabilito che, su tutto il territorio nazionale, dal 23 marzo 2020 al 3 aprile 2020:
“Sono sospese tutte le attività produttive, industriali e commerciali” (art. 1, lett. a), le quali “possono comunque proseguire, se organizzate in modalità a distanza o lavoro agile” (art. 1, lett. c). 4. Le imprese che svolgono una attività che rientra nel novero di quelle sospese in forza del presente Decreto, sono ammesse a portare a termine, entro il 25 marzo p.v., le attività necessarie e prodromiche alla sospensione, compresa la spedizione della merce in giacenza (art. 1, comma 4).
NON sono, invece, SOSPESE:
– Le attività di cui all’allegato n. 1 al Decreto (art. 1, comma 1, lett. a);
– Le attività che sono funzionali ad assicurare la continuità delle filiere delle attività di cui all’allegato 1 (art. 1, comma 1, lett. d);
– Le attività professionali (art. 1, comma 1, lett. a), salvo quanto di sposto dall’art. 1, n. 7, del precedente Decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri dell’11 marzo 2020, il D.C.P.M. (“Ulteriori disposizioni attuative del decreto-legge 23 febbraio 2020, n. 6, recante misure urgenti in materia di contenimento e gestione dell’emergenza epidemiologica da COVID-19, applicabili sull’intero territorio nazionale”, pubblicato nella Gazzetta Ufficiale n. 64 dell’11 marzo 2020), il quale, in particolare, dispone che:
a) “sia attuato il massimo utilizzo da parte delle imprese di modalità di lavoro agile per le attività che possono essere svolte al proprio domicilio o in modalità a distanza”;
b) “siano incentivate le ferie e i congedi retribuiti per i dipendenti nonché gli altri strumenti previsti dalla contrattazione collettiva”;
c) “siano sospese le attività dei reparti aziendali non indispensabili alla produzione”;
d) “assumano protocolli di sicurezza anti-contagio e, laddove non fosse possibile rispettare la distanza interpersonale di un metro come principale misura di contenimento, con adozione di strumenti di protezione individuale”;
e) “siano incentivate le operazioni di sanificazione dei luoghi di lavoro, anche utilizzando a tal fine forme di ammortizzatori sociali”.
– L’attività lavorativa nelle pubbliche amministrazioni (di cui all’articolo 1, comma 2, D.Lgs. 30 marzo 2001, n. 165), secondo quanto previsto, però, in termini di modalità di svolgimento della prestazione lavorativa, dall’articolo 87, D.L. 17 marzo 2020, n. 18 (art. 1, comma 1, lett. a);
– Le attività che erogano servizi di pubblica utilità, nonché servizi essenziali di cui alla legge 12 giugno 1990, n. 146. Resta tuttavia ferma la sospensione del servizio di apertura al pubblico di musei, istituti e luoghi della cultura (cfr. art. 101, Codice Beni Culturali), dei servizi che riguardano l’istruzione ove non erogati a distanza o in modalità da remoto, nei limiti attualmente consentiti (art. 1, comma 1, lett. e);
– Le attività che sono funzionali ad assicurare la continuità dei servizi di pubblica utilità e dei servizi essenziali di cui al punto che precede (art. 1, comma 1, lett. d);
– Le attività di produzione, trasporto, commercializzazione e consegna di farmaci, tecnologia sanitaria e dispositivi medico-chirurgici (art. 1, comma 1, lett. f);
– Le attività di produzione, trasporto, commercializzazione e consegna di prodotti agricoli e alimentari (art. 1, comma 1, lett. f);
– Le attività degli impianti a ciclo produttivo continuo, previa comunicazione al Prefetto territorialmente competente, dalla cui interruzione derivi un grave pregiudizio all’impianto stesso o un pericolo di incidenti (art. 1, comma 1, lett. g);
– Le attività dell’industria dell’aerospazio e della difesa, nonché le altre attività di rilevanza strategica per l’economia nazionale, previa autorizzazione del Prefetto della provincia ove sono ubicate le attività produttive (art. 1, comma 1, lett. h).
ATTENZIONE
Le imprese che svolgono attività che NON rientrano nel novero di quelle sospese ai sensi del presente Decreto, devono adottare e rispettare:
– le misure disposte dai precedenti provvedimenti in materia di COVID-19, nella misura in cui sono qui richiamati (art. 2) [nota 1], con riferimento alle quali giova richiamare, in particolare, il già menzionato e riportato art. 1, n. 7, D.P.C.M. 11 marzo 2020, in tema di attività professionali e produttive non sospese;
– le previsioni del “Protocollo condiviso di regolamentazione delle misure per il contrasto e il contenimento della diffusione del virus Covid-19 negli ambienti di lavoro”, sottoscritto, in data 14 marzo 2020, dal Governo, dalle rappresentanze delle parti datoriali e da CGIL, CISL e UIL, il quale dispone
2. LE MISURE PER GLI AMBIENTI DI LAVORO
Una volta individuate le attività di cui NON è stata disposta la sospensione, è necessario esaminarne le modalità di svolgimento, alle quali le imprese devono, scupolosamente, attenersi.
Sul punto, occorre richiamare il, già menzionato, “Protocollo condiviso di regolamentazione delle misure per il contrasto e il contenimento della diffusione del virus Covid-19 negli ambienti di lavoro”. Si tratta di un documento finalizzato a cristallizzare le best practices in materia di prevenzione contagio da COVID-19, da applicarsi sui luoghi di lavoro.
Come rilevato nella premessa a tale documento, infatti, “la prosecuzione delle attività produttive può infatti avvenire solo in presenza di condizioni che assicurino alle persone che lavorano adeguati livelli di protezione”.
È stata, in altri termini, percepita la necessità di prevedere misure ulteriori, rispetto alla possibilità di ricorrere al cd. lavoro agile e di accedere agli ammortizzatori sociali, allo scopo di “coniugare la prosecuzione delle attività produttive con la garanzia di condizioni di salubrità e sicurezza degli ambienti di lavoro e delle modalità lavorative”.
La finalità pratica, dunque, perseguita tramite l’adozione del Protocollo è quella di “fornire indicazioni operative finalizzate a incrementare, negli ambienti di lavoro non sanitari, l’efficacia delle misure precauzionali di contenimento adottate per contrastare l’epidemia di COVID-19”.
Le misure di cui al presente Protocollo sono uguali per tutta la popolazione, “seguono la logica della precauzione”, “seguono e attuano le prescrizioni del legislatore e le indicazioni della Autorità sanitaria” e possono essere raggruppate entro le seguenti categorie:
a) MISURE PER L’INFORMAZIONE DEI DIPENDENTI
Tutti i lavoratori devono essere adeguatamente ed efficacemente informati, da parte dell’azienda presso la quale sono impiegati, in ordine alle disposizioni emesse dalla Pubblica Autorità. Tale onere informativo grava, in capo alla impresa, anche nei confronti di chiunque acceda in azienda.
L’informazione da parte della impresa ha, in particolare ad oggetto:
– l’obbligo di rimanere presso proprio domicilio in presenza di febbre (oltre 37.5°), altri sintomi influenzali e di chiamare il proprio medico di famiglia e l’autorità sanitaria;
– la consapevolezza e l’accettazione del fatto di non poter fare ingresso o di poter permanere in azienda e di doverlo dichiarare tempestivamente, laddove, anche successivamente all’ingresso, sussistano le condizioni di pericolo (sintomi di influenza, temperatura, provenienza da zone a rischio o contatto con persone positive al virus nei 14 giorni precedenti, etc.) in cui i provvedimenti dell’Autorità impongono di informare il medico di famiglia e l’Autorità sanitaria e di rimanere al proprio domicilio;
– l’impegno a rispettare tutte le disposizioni delle Autorità e del datore di lavoro nel fare accesso in azienda (in particolare, mantenere la distanza di sicurezza, osservare le regole di igiene delle mani e tenere comportamenti corretti sul piano dell’igiene);
– l’impegno a informare tempestivamente e responsabilmente il datore di lavoro della presenza di qualsiasi sintomo influenzale durante l’espletamento della prestazione lavorativa, avendo cura di rimanere ad adeguata distanza dalle persone presenti.
b) MISURE PER L’INGRESSO ED USCITA IN AZIENDA DEL PERSONALE
– Previsione di orari di ingresso e uscita scaglionati;
– Adibire una porta di entrata e una porta di uscita dai locali aziendali e garantire, presso questi varchi, la presenza di detergenti per le mani;
– Possibilità di sottoporre il personale in entrata al controllo della temperatura corporea e, se risultasse superiore ai 37,5°, di vietare l’accesso ai luoghi di lavoro, con conseguente momentaneo isolamento del personale “sospetto” in attesa di indicazioni da parte del proprio medico curante, che deve essere tempestivamente contattato;
– Informazione preventiva, da parte del datore di lavoro, in ordine alla preclusione dell’accesso a chi, negli ultimi 14 giorni, abbia avuto contatti con soggetti risultati positivi al COVID-19 o provenga da zone a rischio secondo le indicazioni dell’OMS2;
– Con riferimento a tali ultime ipotesi, viene fatto rinvio all’art. 1, lett. h) e i), D.L. 23 febbraio 2020, n. 6.
c) SPOSTAMENTI INTERNI, RIUNIONI, EVENTI INTERNI E FORMAZIONE
– Massima limitazione degli spostamenti all’interno del sito aziendale;
– Divieto di riunioni in presenza. Se indispensabili e non diversamente praticabili, riduzione al minimo la partecipazione necessaria e, comunque, dovranno essere garantiti il distanziamento interpersonale e un’adeguata pulizia/areazione dei locali;
– Sospensione e annullamento di tutti gli eventi interni e ogni attività di formazione in modalità in aula.
d) MISURE PER L’ACCESSO DEI FORNITORI ESTERNI
– Individuare procedure di ingresso, transito e uscita, dei fornitori provenienti dall’esterno, mediante modalità, percorsi e tempistiche predefinite, al fine di ridurre le occasioni di contatto con il personale;
– Permanenza degli autisti dei mezzi di trasporto a bordo dei propri mezzi e divieto assoluto di accesso agli uffici. Per le necessarie attività di carico e scarico, il trasportatore dovrà attenersi alla rigorosa distanza di un metro;
– Per fornitori/trasportatori e/o altro personale esterno individuare/installare servizi igienici dedicati, prevedere il divieto di utilizzo di quelli del personale dipendente e garantire una adeguata pulizia giornaliera;
– Riduzione, nella misura massima possibile, dell’accesso ai visitatori;
– Se presente un servizio di trasporto organizzato dall’azienda, quest’ultima dovrà garantire e rispettare la sicurezza dei lavoratori lungo ogni spostamento.
e) PULIZIA E SANIFICAZIONE IN AZIENDA
– Pulizia giornaliera e sanificazione periodica dei locali, degli ambienti, delle postazioni di lavoro e delle aree comuni e di svago;
– In caso di presenza di una persona con COVID-19 all’interno dei locali aziendali, si procede alla pulizia e sanificazione dei suddetti secondo le disposizioni della circolare n. 5443 del 22 febbraio 2020 del Ministero della Salute nonché alla loro ventilazione;
– Pulizia a fine turno e sanificazione periodica di tastiere, schermi touch, mouse con adeguati detergenti, sia negli uffici, sia nei reparti produttivi;
– Raccomandazione all’azienda di organizzare interventi particolari/periodici di pulizia ricorrendo agli ammortizzatori sociali (anche in deroga), alla stregua delle indicazioni del Ministero della Salute.
f) PRECAUZIONI IGIENICHE PERSONALI e DISPOSITIVI DI PROTEZIONE INDIVIDUALE
– Messa a disposizione, da parte della azienda, di idonei mezzi detergenti per le mani. È fatta salva la raccomandazione di frequente pulizia delle mani con acqua e sapone;
– Qualora il lavoro imponga di lavorare a distanza interpersonale minore di un metro e non siano possibili altre soluzioni organizzative, è comunque necessario l’uso delle mascherine, e altri dispositivi di protezione (guanti, occhiali, tute, cuffie, camici, ecc.), conformi alle disposizioni delle autorità scientifiche e sanitarie.
g) MISURE PER LA GESTIONE DEGLI SPAZI COMUNI
– Limitazione dell’accesso agli spazi comuni, con previsione di una ventilazione continua dei locali, di un tempo ridotto di sosta all’interno di tali spazi e con il mantenimento della distanza di sicurezza di 1 metro tra le persone che li occupano;
– Organizzazione degli spazi e sanificazione degli spogliatoi;
– Sanificazione periodica e la pulizia giornaliera, con appositi detergenti dei locali mensa, delle tastiere dei distributori di bevande e snack.
h) ORGANIZZAZIONE AZIENDALE (TURNAZIONE, TRASFERTE E SMART WORK, RIMODULAZIONE DEI LIVELLI PRODUTTIVI)
Cfr. art. 1, n. 7, D.P.C.M. 11 marzo 2020.
i) GESTIONE DI UNA PERSONA SINTOMATICA IN AZIENDA
Se una persona presente in azienda sviluppa febbre e sintomi di infezione respiratoria, è previsto:
– immediata segnalazione, da parte dell’interessato, all’ufficio del personale;
– isolamento, in base alle disposizioni dell’autorità sanitaria, del soggetto e delle altre persone presenti;
– immediato avviso, da parte della azienda, alle autorità sanitarie competenti e ai numeri di emergenza per il COVID-19, forniti dalla Regione o dal Ministero della Salute;
– collaborazione della azienda con le Autorità sanitarie per la definizione degli eventuali “contatti stretti” di una persona presente in azienda che sia stata riscontrata positiva al tampone COVID-19.
l) SORVEGLIANZA SANITARIA/MEDICO COMPETENTE/RLS
– La sorveglianza sanitaria deve proseguire rispettando le misure igieniche contenute nelle indicazioni del Ministero della Salute (cd. decalogo);
– Precedenza alle visite a richiesta e alle visite da rientro da malattia;
– Mantenimento della sorveglianza sanitaria periodica, quale forma di prevenzione di carattere generale;
– Collaborazione, nell’integrare e proporre tutte le misure di regolamentazione legate al COVID-19, tra il medico competente e il datore di lavoro e i Rappresentanti dei Lavoratori per la Sicurezza;
– Il medico competente segnala all’azienda situazioni di particolare fragilità e patologie attuali o pregresse dei dipendenti e l’azienda provvede alla loro tutela nel rispetto della privacy il medico competente applicherà le indicazioni delle Autorità Sanitarie.
m) AGGIORNAMENTO DEL PROTOCOLLO DI REGOLAMENTAZIONE
– È costituito in azienda un Comitato per l’applicazione e la verifica delle regole del protocollo di regolamentazione, con la partecipazione delle rappresentanze sindacali aziendali e del Rappresentante dei Lavoratori per la Sicurezza.
3. LE CONSEGUENZE PENALI.
L’IMPRENDITORE PERSONA FISICA: INDIVIDUO E DATORE DI LAVORO
Una volta chiarite le restrizioni operative e le misure di prevenzione disposte nei confronti delle imprese, nell’intento di limitare e prevenire il contagio da COVID 19, è opportuno esaminare quali possano essere le conseguenze penali rivenienti dalla violazione di tali disposizioni.
Sul punto, è necessario evidenziare, anzitutto, come la condotta inadempiente dell’imprenditore possa integrare diverse categorie di fattispecie penalmente rilevanti e, segnatamente:A
A) Art. 650 c.p. – Inosservanza dei provvedimenti dell’Autorità
“Chiunque non osserva un provvedimento legalmente dato dall’Autorità per ragione di giustizia o di sicurezza pubblica o d’ordine pubblico o d’igiene, è punito, se il fatto non costituisce un più grave reato, con l’arresto fino a tre mesi o con l’ammenda fino a euro 206”.
Trattasi di reato cd. contravvenzionale, ossia di una fattispecie penalmente rilevante, ma riconducibile, non già, alla categoria dei delitti, bensì a quella, appunto, delle contravvenzioni.
Siffatta circostanza, peraltro, incide sulla tipologia delle pene a cui è esposto il colpevole: arresto (pena detentiva) e/o ammenda (pena pecuniaria).
Con l’espressione “provvedimento legalmente dato dall’autorità”, si intende qualsiasi atto autoritativo unilaterale, proveniente da un soggetto pubblico e diretto a perseguire dei pubblici interessi, nonché idoneo ad incidere direttamente sulla sfera soggettiva del singolo. In tale definizione, quindi, rientra appieno il D.P.C.M., che, giova ricordarlo, non è un provvedimento legislativo, ma amministrativo.
La presente ipotesi criminosa risulta integrata ogni qual volta un soggetto ponga in essere una condotta omissiva di inadempimento di uno specifico provvedimento, adottato per contingenti ragioni a tutela di interessi collettivi, afferenti, tassativamente, a scopi di giustizia, sicurezza, ordine pubblico ed igiene. Anche sotto il profilo della “materia” nella quale interviene il provvedimento violato, quindi, il reato in oggetto appare calzante con il contesto che ne occupa.
Occorre rilevare, in ultimo, come, trattandosi di mera contravvenzione, la condotta tipica è punita, indifferentemente, a titolo di dolo o di colpa (cfr. art. 42, comma 3, c.p.).
Ciò significa che non è necessario, ai fini della punibilità, che l’imprenditore abbia agito con coscienza e volontà di violare le misure anti-contagio, potendo quest’ultimo aver contravvenuto le disposizioni del Decreto “senza volerlo”, ossia a causa di negligenza o imprudenza o imperizia.
È, viceversa, necessario che il soggetto (i.e. l’imprenditore) conosca o sia stato messo nelle condizioni di poter conoscere il provvedimento contravvenuto e, in particolare, delle ragioni di giustizia, sicurezza pubblica, ordine pubblico o igiene per le quali esso è stato emanato. Per quanto attiene i provvedimenti amministrativi (quali il D.P.C.M.) è sufficiente che le disposizioni violate siano state, in precedenza, portate a conoscenza del cittadino con ogni mezzo idoneo.
Nel caso di specie, tanto il Decreto, quanto le sue “ragioni”, sono state debitamente ed ampiamente rese note a tutta la platea dei destinatari, che, pertanto, non potranno invocare l’ignoranza incolpevole del provvedimento e saranno, in ogni caso, passibili di sanzione penale, ex art. 650 c.p.
L’imprenditore può, quindi, essere chiamato a rispondere dianzi alla Autorità Giudiziaria Penale, ove violi le disposizioni del presente Decreto e, segnatamente:
– Continui a svolgere una delle attività produttive commerciali e industriali, non eccettuate dall’obbligo di sospensione previsto dal DPCM 22 marzo 2020;
– Nell’ambito delle attività “non sospese”, non garantisca il rispetto delle misure di prevenzione anti-contagio disposte dal presente Decreto e dai precedenti provvedimenti dallo stesso richiamati.
N.B.
Il reato de quo rientra nell’ambito applicativo della oblazione cd. facoltativa o speciale, prevista dall’art. 162-bis c.p. [nota 2]
Tale istituto ammette il soggetto, al quale sia stata contestata una contravvenzione punita con la pena alternativa dell’arresto o dell’ammenda, a pagare una somma di denaro – pari alla metà del massimo della pena pecuniarie prevista dalla norma di riferimento, oltre alle spese del procedimento – ottenendo, in tal modo, l’estinzione del reato.
Ciò significa che colui al quale venga contestata la fattispecie di cui all’art. 650 c.p. ovvero che riceva direttamente un decreto penale di condanna per tale reato, ha la possibilità di chiedere al giudice di essere ammesso alla oblazione, ai sensi e per gli effetti dell’art. 162-bis c.p.
Ove il giudicante accogliesse la richiesta dell’indagato/imputato, quest’ultimo potrà effettuare il versamento di quanto indicato nella ordinanza di ammissione alla oblazione ed estinguere il reato contestatogli.
Con la estinzione del reato per intervenuta oblazione, l’interessato non sarà soggetto ad alcuna condanna per la contravvenzione in oggetto e, di conseguenza, non risulterà alcuna iscrizione nel certificato penale del casellario giudiziale.
Laddove, pertanto, si venisse a conoscenza di un procedimento penale a proprio carico per il reato di cui all’art. 650 c.p. ovvero, a maggior ragione, ove fosse notificato un decreto penale di condanna per tale reato, è fortemente consigliato di rivolgersi immediatamente ad un legale di fiducia (prima di pagare la somma indicata nel decreto penale di condanna), il quale potrà attivarsi per dare avvio alla procedura per l’ammissione alla oblazione, così evitando una pronuncia di condanna suscettibile di iscrizione nel casellario giudiziale.
Con particolare riferimento al decreto penale di condanna (il quale rappresenta un provvedimento di condanna a tutti gli effetti, al pari di una sentenza), è fortemente consigliato procedere, mediante l’assistenza di un legale di fiducia, attraverso l’istanza di oblazione (opponendosi al decreto penale) piuttosto che corrispondere le somme indicate nel decreto medesimo.
Ed invero, se fosse pagata la somma di cui al decreto penale di condanna, l’interessato avrebbe eseguito la pena pecuniaria al quale è stato condannato e, non opponendosi al decreto, quest’ultimo diverrebbe irrevocabile ed andrebbe a costituire un precedente penale, visibile attraverso l’estrazione del certificato del casellario giudiziale.
Ben si comprende, quindi, la maggior opportunità di procedere, in siffatte ipotesi, con l’istanza di oblazione e l’estinzione del reato, senza conseguenze ulteriori in termini di precedenti penali, piuttosto che pagare quanto prescritto nel decreto penale di condanna e vedere compromessa la propria “fedina penale”.
B) Reati contravvenzionali ex D.lgs. 9 aprile 2008, n. 81 (TESTO UNICO SULLA SALUTE E SICUREZZA SUL LAVORO, coordinato con il D.Lgs. 3 agosto 2009, n. 106).
In questa seconda ipotesi, si fa riferimento, in via esclusiva, agli imprenditori che svolgono una delle attività che non sono soggette all’obbligo di sospensione ex art. 1, D.C.P.M. 22 marzo 2020 e ci si rivolge all’imprenditore nella sua qualità di datore di lavoro.
Ebbene, la condotta inottemperante dell’imprenditore potrebbe, in astratto, integrare gli estremi delle seguenti fattispecie contravvenzionali:
Art. 282, commi 1 e 2, lett. a): nel caso in cui l’imprenditore abbia omesso di “effettuare la valutazione dei rischio derivanti dall’esposizione agli agenti biologici presenti nell’ambiente”.
PENA: arresto da 3 e 6 mesi o ammenda da Euro 2.792,06 ad Euro 7.147,67.
Art. 55, comma 5, lett. a): nel caso in cui l’imprenditore abbia omesso di “informare i lavoratori circa il pericolo esistente, le misure predisposte e i comportamenti da adottare”
PENA: arresto da 2 a 4 mesi o ammenda da Euro 837,61 ad Euro 4.467,29.
Art. 55, comma 5, lett. d): nel caso in cui l’imprenditore abbia omesso di fornire ai lavoratori “i necessari e idonei dispositivi di protezione individuale” nonché ove il predetto abbia omesso di nominare il medico competente per l’effettuazione della sorveglianza sanitaria aziendale nei casi previsti dal Testo Unico.
PENA: arresto: da 2 a 4 mesi o ammenda da Euro 1.675,23 ad Euro 6.700,94.
Art. 55, comma 5, lett. e): nel caso in cui l’imprenditore abbia omesso di chiedere “al medico competente l’osservanza degli obblighi previsti a suo carico” in forza del Testo Unico.
PENA: ammenda da Euro 2.233,64 ad Euro 4.467,29.
Art. 55, comma 5, lett. c): nel caso in cui l’imprenditore non abbia richiesto “l’osservanza da parte dei singoli lavoratori delle norme vigenti, nonché delle disposizioni aziendali in materia di sicurezza e di igiene del lavoro e di uso dei mezzi di protezione” ovvero per aver omesso di programmare gli interventi da attuare “in caso di pericolo immediato”.
PENA: arresto da 2 a 4 mesi o ammenda da Euro 1.340,18 ad Euro 5.807,48.
Art. 55, comma 5, lett. d): in ipotesi di affidamento di lavori a un’impresa appaltatrice o a lavoratori autonomi all’interno della propria azienda, per avere i datori di lavoro omesso “di cooperare nell’adozione di misure di prevenzione e protezione dai rischi” e “di coordinare gli interventi di protezione e prevenzione dai rischi cui sono esposti i lavoratori”.
PENA: arresto da 2 a 4 mesi o ammenda da Euro 1.675,23 ad Euro 6.700,94.
Si tratta, come anzidetto, di fattispecie di natura contravvenzionale e, dunque, punite esclusivamente con l’ammenda e/o l’arresto e, indifferentemente a titolo di colpa o dolo.
La particolarità delle ipotesi criminose testé richiamate risiede nel fatto che possono essere poste in essere esclusivamente da soggetti dotati di specifiche qualifiche personali e/o professionali, ossia, appunto, solo da coloro che rivestono il ruolo, all’interno della azienda, di “datori di lavoro” e di “dirigenti” (cfr. le contravvenzioni di cui all’art. 55 T.U.). Trattasi, invero, di reati cd. propri.
Anche questa seconda categoria di reati, peraltro, esattamente come quello previsto dall’art. 650 c.p., sono di natura omissiva, in quanto integrati da una “non condotta”, da una mancata azione (a titolo esemplificativo: dalla mancata valutazione del rischio, dalla mancata fornitura di dispositivi di protezione individuale, dalla mancata richiesta di osservare le misure di sicurezza, ecc.).
Trattandosi, peraltro, di contravvenzioni punite con la pena alternativa dell’arresto o della ammenda, viene, nuovamente in rilievo, l’istituto previsto dall’art. 162-bis c.p., ossia la oblazione cd. facoltativa o speciale.
Anche con riferimento, quindi, a questa seconda categoria di reati, il soggetto indagato, ovvero che riceva un decreto penale di condanna, potrà richiedere all’autorità giudiziaria di essere ammesso alla oblazione.
Se ammesso, l’interessato sarà chiamato a pagare una somma di denaro pari alla metà del massimo della pena pecuniarie prevista dalla norma di riferimento, oltre alle spese del procedimento, e così facendo, otterrà la dichiarazione di estinzione del reato contestatogli ovvero per il quale è stato emesso, nei suoi confronti, un decreto penale di condanna.
Grazie alla estinzione del reato, l’interessato non verrà, dunque, condannato per una delle contravvenzioni previste dal D.Lgs. 81/2008, dianzi richiamate, e, di conseguenza, non risulterà alcuna iscrizione nel certificato penale del casellario giudiziale.
Laddove, dunque, si venisse a conoscenza di un procedimento penale a proprio carico per le contravvenzioni predette ovvero, a maggior ragione, ove fosse notificato un decreto penale di condanna per tali reati, è fortemente consigliato rivolgersi immediatamente ad un legale di fiducia, il quale potrà attivarsi per dare avvio alla procedura per l’ammissione alla oblazione.
Con particolare riferimento al decreto penale di condanna (il quale rappresenta un provvedimento di condanna a tutti gli effetti, al pari di una sentenza), è fortemente consigliato procedere, mediante l’assistenza di un legale di fiducia, attraverso l’istanza di oblazione (opponendosi al decreto penale) piuttosto che corrispondere le somme indicate nel decreto medesimo.
Ed invero, se fosse pagata la somma di cui al decreto penale di condanna, l’interessato avrebbe eseguito la pena pecuniaria al quale è stato condannato e, non opponendosi al decreto, quest’ultimo diverrebbe irrevocabile ed andrebbe a costituire un precedente penale, visibile attraverso l’estrazione del certificato del casellario giudiziale.
Ben si comprende, quindi, la maggior opportunità di procedere, in siffatte ipotesi, con l’istanza di oblazione e l’estinzione del reato, senza conseguenze ulteriori in termini di precedenti penali, piuttosto che pagare quanto prescritto nel decreto penale di condanna e vedere compromessa la propria “fedina penale”
C) Art. 590, comma 3, c.p. Lesioni personali colpose (aggravato da violazione di norma anti-infortunistiche)
“Chiunque cagiona ad altri per colpa una lesione personale […] se la lesione è grave la pena è della reclusione da uno a sei mesi o della multa da euro 123 a euro 619, se è gravissima, della reclusione da tre mesi a due anni o della multa da euro 309 a euro 1.239”
MA:
“Se i fatti […] sono commessi con violazione delle norme […] per la prevenzione degli infortuni sul lavoro la pena per le lesioni gravi è della reclusione da tre mesi a un anno o della multa da euro 500 a euro 2.000 e la pena per le lesioni gravissime è della reclusione da uno a tre anni”.
Oppure
D) Art. 589, comma 2, c.p. – Omicidio colposo (aggravato da violazione di norma anti-infortunistiche)
“Chiunque cagiona per colpa, la morte di una persona è punito con la reclusione da sei mesi a cinque anni. Se il fatto è commesso con violazione delle norme per la prevenzione degli infortuni sul lavoro la pena è della reclusione da due a sette anni”.
Anche per quanto attiene questa ulteriore categoria reati, si fa riferimento all’imprenditore in quanto datore di lavoro.
Le fattispecie poc’anzi richiamate, a differenza delle precedenti, costituiscono dei delitti e, quindi, rientrano nella categoria più “grave” dei reati, sanzionati con maggior severità.
Non a caso, le sanzioni previste per i presenti reati sono di tipologia diversa e più grave rispetto a quelle previste per le contravvenzioni, e cioè: la reclusione (pena detentiva) e la multa (pena pecuniaria).
Si tratta, in entrambi i casi, di fattispecie criminose punite a titolo di colpa, non essendo, dunque, necessario che il soggetto attivo abbia agito “con coscienza e volontà”, essendo, di contro, sufficiente che il fatto sia stato cagionato per “negligenza o imprudenza o imperizia, ovvero per inosservanza di leggi, regolamenti, ordini o discipline”.
Ho ritenuto opportuno trattare congiuntamente questi reati in quanto si tratta di ipotesi fattuali astrattamente contigue, entrambe rivenienti dalla inosservanza delle prescrizioni del Decreto e dal, conseguente, contagio di uno o più dipendenti.
Se da tali accadimenti, derivassero esclusivamente conseguenze pregiudizievoli in termini di salute ed integrità psico-fisica del contagiato, potrebbe configurarsi il reato di “Lesioni personali colpose”, gravi o gravissime a seconda della entità delle conseguenze.
Se, viceversa, il lavoratore-contagiato non riuscisse a superare la malattia e decedesse, il datore di lavoro potrebbe essere chiamato a rispondere del delitto di “Omicidio colposo”, aggravato dalla violazione di norme anti-infortunistiche.
MA:
In ordine alla astratta punibilità delle condotte “inadempienti” dell’imprenditore, devono, tuttavia, farsi talune precisazioni.
Ed invero, affinché il datore di lavoro possa essere chiamato a rispondere, a titolo di “lesioni personali colpose” ovvero di “omicidio colposo”, per la malattia, ovvero per la morte, di uno o più dipendenti, a seguito di contagio da COVID-19, devono concorrere le seguenti condizioni:
a) L’imprenditore abbia violato le “norme” di prevenzione previste nel Decreto del 22 marzo 2020, nonché negli altri provvedimenti emergenziali dal medesimo richiamati.
A titolo esemplificativo: il datore di lavoro abbia violato l’obbligo di sospendere la sua attività produttiva commerciale o industriale, laddove la stessa rientri nel novero di quelle soggetto a tale obbligo.
Oppure l’imprenditore abbia violato le “norme” di prevenzione previste dal D.Lgs. 81/2008.
A titolo esemplificativo: il datore di lavoro abbia omesso di effettuare valutazione del rischio da esposizione ad agenti biologici, abbia omesso di fornire il personale dei dispositivi di protezione individuale, ovvero, ancora, non abbia adeguatamente ed efficacemente informato i dipendenti in ordine ai rischi correlati alla esecuzione della relativa prestazione lavorativa.
b) Da tale violazione delle norme di prevenzione da parte del datore di lavoro, sia derivato il contagio del lavoratore e le conseguenti ripercussioni in termini di lesioni personali o morte del contagiato.
c) Il contagio sia avvenuto all’interno dell’ambiente di lavoro e il soggetto contagiato sia un dipendente.
d) Sia provata la sussistenza del nesso causale tra la violazione da parte del datore di lavoro delle predette “norme” anti-infortunistiche e l’evento lesivo o mortale.
e) Sia, altresì, provata la prevedibilità e, quindi, l’evitabilità dell’evento dannoso da parte dell’imprenditore. In mancanza, si ritiene che il rispetto dell’obbligo cautelare imposto dalle “norme” anti-infortunistiche non sarebbe esigibile dal soggetto attivo il quale, di conseguenza, non può essere chiamato a rispondere del mancato adempimento di tale obbligo.
4. LE CONSEGUENZE PENALI
L’IMPRENDITORE COME ENTE E LA RESPONSABILITÀ EX D.LGS. 231/2001
Da ultimo viene in rilievo la posizione dell’imprenditore “ente”.
Si tratta della, quanto mai comune, ipotesi in cui l’attività di impresa sia esercitata in forma societaria e, quindi, “l’imprenditore” a cui si è fatto diffusamente riferimento nel corso del presente elaborato, in realtà, non sia una persona fisica, ma una persona giuridica.
In siffatta eventualità, l’imprenditore, proprio in quanto “ente”, può essere a chiamato a rispondere, a norma del D.Lgs. 231/2001, dei reati posti in essere da soggetti operanti in seno alla società.
I presupposti per la “punibilità” dell’ente, in particolare, sono:
– la fattispecie criminosa in concreto posta in essere deve rientrare nel novero de cd. reati presupposto;
– il reato deve essere realizzato “nell’interesse o a vantaggio dell’ente”: dalla commissione del fatto, l’imprenditore-ente ha tratto o intendeva trarre un’utilità (ad esempio, nella ipotesi de qua: il profitto derivante dalla mancata chiusura dell’attività soggetta a sospensione), oppure un risparmio in termini di spesa o di tempo (ad esempio, nella ipotesi de qua: risparmio da mancato acquisto di dispositivi di protezione individuale o da non utilizzo di disposizione di protezione individuale per evitare un rallentamento della produzione);
– l’autore del reato sia un soggetto che riveste, in seno all’ente, “funzioni di rappresentanza, di amministrazione o di direzione dell´ente o di una sua unità organizzativa dotata di autonomia finanziaria e funzionale nonché da persone che esercitano, anche di fatto, la gestione e il controllo dello stesso” (ad esempio: Consiglieri di amministrazione, Dirigenti, Amministratori Delegati, Preposti, ecc.) ovvero una persona sottoposta alla direzione o alla vigilanza di una dei predetti soggetti (ad esempio: lavoratori subordinati). Tali soggetti, però, non devono aver agito “nell´interesse esclusivo proprio o di terzi”.
Con riferimento alle peculiarità della situazione che ne occupa ed avendo riguardo al catalogo dei cd. reati presupposto, viene in rilievo
L’art. 25-septies, D.Lgs. 231/2001 – “Omicidio colposo o lesioni gravi o gravissime commesse con violazione delle norme sulla tutela della salute e sicurezza sul lavoro” [nota 3]
Tale disposizione normativa introduce nel catalogo dei cd. reati presupposto i già richiamati delitti di “omicidio colposo” aggravato dalla violazione di norme anti-infortunistiche e di “lesioni personali colpose”, gravi o gravissime, ex art. 590, comma 3, c.p.
Si tratta, come anzidetto, del caso in cui il lavoratore contragga il virus COVID-19 sul posto di lavoro e a causa della mancata attuazione delle disposizioni emergenziali previste dai D.P.C.M. ovvero dalla violazione delle disposizioni di cui al D.Lgs. 81/2008, e da tale contagio derivi la morte dello stesso o “lesioni personali”, quali la lungodegenza o i postumi del contagio.
Si rinvia, quindi, per la descrizione delle condotte tipiche a quanto già esposto.
Ove, fosse, dunque, ritenuta sussistente, in capo all’imprenditore-ente, la responsabilità per i reati di cui all’art. 25-septies, D.Lgs. 231/2001, troverebbero applicazione le seguenti sanzioni:
– Sanzioni pecuniarie:
Lesioni personali: fino a 250 quote (e, dunque, una sanzione pecuniaria compresa tra Euro 25.800,00 ed Euro 387.250,00)
Omicidio Colposo: da 250 quote a 500 quote (e, dunque, una sanzione pecuniaria compresa tra Euro 64.500,00 ed Euro 774.500,00)
– Sanzioni interdittive (ex art. 9, comma 2, D.Lgs. 231/2001):
Lesioni personali: durata non superiore a sei mesi
Omicidio Colposo: durata non inferiore a tre mesi e non superiore ad un anno
Sul punto, è opportuno ricordare le sanzioni interdittive previste dal Decreto del 2001, ossia:
a) l´interdizione dall´esercizio dell´attività;
b) la sospensione o la revoca delle autorizzazioni, licenze o concessioni funzionali alla commissione dell´illecito;
c) il divieto di contrattare con la pubblica amministrazione, salvo che per ottenere le prestazioni di un pubblico servizio;
d) l´esclusione da agevolazioni, finanziamenti, contributi o sussidi e l´eventuale revoca di quelli già concessi;
e) il divieto di pubblicizzare beni o servizi.
– Confisca: ossia l’acquisizione da parte dello Stato del prezzo o del profitto del reato.
Come noto, tuttavia, l’ente può andare esente da sanzione ove dimostri, ai sensi dell’art. 6, D.Lgs. 231/2001, che:
– l’organo dirigente ha adottato ed efficacemente attuato, prima della commissione del fatto, modelli di organizzazione e di gestione idonei a prevenire reati della specie di quello verificatosi;
– il compito di vigilare sul funzionamento e l´osservanza dei modelli di curare il loro aggiornamento è stato affidato a un organismo dell´ente dotato di autonomi poteri di iniziativa e di controllo;
– le persone hanno commesso il reato eludendo fraudolentemente i modelli di organizzazione e di gestione;
– non vi è stata omessa o insufficiente vigilanza da parte dell´organismo di cui alla lettera b).
Al riguardo, tuttavia, è necessario, specialmente in ragione delle peculiarità che connotano la attuale situazione, svolgere talune riflessioni.
Anzitutto, se l’imprenditore-ente non si è dotato, prima del fatto, di un Modello Organizzativo e di Gestione non potrà evidentemente avvalersi della causa di esclusione della responsabilità dianzi richiamata.
In siffatta eventualità, tuttavia, l’ente-imprenditore ha la possibilità di vedersi ridotta, da un terzo alla metà, la pena pecuniaria, ove, prima della dichiarazione di apertura del dibattimento di primo grado, “è stato adottato e reso operativo un modello organizzativo idoneo a prevenire reati della specie di quello verificatosi”(cfr. art. 12, comma 2, lett. b), D.Lgs. 231/2001) [nota 4].
Ne deriva che, se l’ente “indagato” non fosse ancora dotato di un Modello Organizzativo e di Gestione (prima della commissione del fato per cui si procede) e, quindi, non possa invocare l’efficacia scriminante di quest’ultimo, potrà, in ogni caso, agevolare la propria situazione processuale, ottenendo un considerevole “sconto di pena”. Ciò, come anzidetto, procedendo con la adozione “postuma” di un Modello Organizzativo che sia adatto ed idoneo alla prevenzione di reati della specie di quelli oggetto di contestazione.
V’è, tuttavia, da rilevare come, anche laddove l’ente-imprenditore avesse adottato ed efficacemente attuato, prima della commissione del fatto contestato, un Modello Organizzativo, quest’ultimo, per poter spiegare la sua efficacia scriminate, deve, come anzidetto, essere “idoneo a prevenire reati della fattispecie di quello verificatosi”.
In altri termini, il fatto che l’ente si sia dotato per tempo di un Modello Organizzativo, non comporta, ex se, la non punibilità dello stesso per il reato ascrittogli, dovendo, invero, essere dimostrata la “idoneità” concreta del relativo Modello.
È evidente, dunque, che se tali considerazioni impongono, di norma, un costante aggiornamento e monitoraggio sulla effettiva idoneità preventiva del modello, siffatta esigenza diviene vieppiù cogente allorché, come nel caso di specie, ci si trovi in situazioni del tutto emergenziali nelle quali i fattori di rischio, su cui viene modulato il singolo Modello, sono esponenzialmente e repentinamente cresciuti.
E, dunque,
Nelle denegata ipotesi in cui si verificasse un contagio sul posto di lavoro e ne conseguisse la morte o le “lesioni personali” in capo al dipendente, l’ente-imprenditore dovrà dimostrare di aver adeguato il proprio modello organizzativo – in precedenza adottato ed efficacemente attuato – alle peculiarità del contesto di contagio che vede coinvolto in nostro Paese.
Ed invero, solo un modello organizzativo parametrato alle esigenze di tutela attuali potrà essere considerato “scriminante” ai sensi dell’art. 6, comma 1, lett. a), D.Lgs. 231/2001.
Milano, 23 marzo 2020
Note: