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La Cassazione è recentemente tornata a puntualizzare i requisiti costitutivi della fattispecie criminosa di stalking.

L’imputato-ricorrente, nello specifico, impediva ad una famiglia di accedere al proprio garage, ponendosi con la propria auto davanti all’accesso.

Nonostante le reiterate richieste delle persone offese, il ricorrente perseverava nella condotta di molestia e, addirittura, reagiva aggredendo verbalmente e minacciando i legittimi proprietari. Così facendo, l’imputato costringeva la famiglia ad accedere al proprio garage per altra via, ossia attraverso un ingresso secondario.

Evidente è, quindi, risultata la integrazione del reato de quo, in quanto evidentemente riscontrata è stata ritenuta la “alterazione delle abitudini di vita”, evento della fattispecie criminosa di stalking.

A parere dei giudici di merito, inoltre, il comportamento dell’agente aveva ingenerato nelle vittime uno stato d’ansia, confermato, tra le altre, dalla testimonianza della psicologa di una delle persone offese, teste d’accusa. Le dichiarazioni della testimone venivano tacciate di nullità dal ricorrente il quale, proprio per tale ragione, sosteneva la mancata configurazione del reato contestato, in quanto non provato lo stato d’ansia patito dalle vittime.

La Suprema Corte ha respinto il ricorso rilevando la carenza di interesse ad impugnare da parte dell’imputato, interesse che, come noto, deve essere concreto ed attuale.

I giudici di legittimità, infatti, hanno correttamente rilevato come il reato di stalking risultasse, in ogni caso, integrato, a prescindere dalla eventuale “espunzione” della testimonianza predetta dal parterre probatorio di cui disponevano i giudici di merito.

Nel sostenere ciò, la Suprema Corte ribadisce come il delitto in oggetto debba ritenersi configurato laddove sussista anche solo uno degli eventi individuati dall’art. 612-bis c.p., i quali, pertanto, devono considerarsi in rapporto alternativo tra loro.

Nel caso in discorso, le persone offese erano state indubitabilmente costrette, a causa delle condotte di molestia poste in essere dal ricorrente, a mutare le proprie abitudini di vita con la conseguenza che, anche ove non fosse stato dimostrato lo stato di ansia delle vittime, il reato si deve ritenere integrato.

La Suprema Corte ribadisce, dunque, sul punto come “il cambio di abitudini di vita del nucleo famigliare” rappresenti un “elemento già in sé sufficiente ed idoneo ad integrare l’evento (alternativo) del delitto contestato”.

– Cass. Sez. V, sent. 19 gennaio 2020, n. 1551