La Cassazione è tornata a puntualizzare la corretta portata applicativa dell’art. 73, comma 5 del Testo Unico stupefacenti (Decreto del Presidente della Repubblica del 9 ottobre 1990, n. 309, recante: “Testo unico delle leggi in materia di disciplina degli stupefacenti e sostanze psicotrope, prevenzione, cura e riabilitazione dei relativi stati di tossicodipendenza”).
Come noto, l’art. 73 del d.P.R. 309/1990 persegue le condotte di produzione, traffico e detenzione illeciti di sostanze stupefacenti o psicotrope, punite con la pena della reclusione, da sei a venti anni, e della multa, da Euro 26.000 a Euro 260.000.
Il comma 5 del predetto articolo, poi, prevede che si applichi una pena ridotta (reclusione, da sei mesi a quattro anni, e multa, da Euro 1.032 a Euro 10.329) ove una delle condotte dianzi descritte possa considerarsi di “lieve entità”.
La valutazione in ordine alla concreta entità del fatto posto in essere deve tenere conto degli indici puntualmente previsti dal comma 5, ossia i “mezzi”, la “modalità” e le “circostanze” dell’azione nonché la “qualità” e “quantità” delle sostanze.
La Suprema Corte, nella sentenza in commento, chiarisce come il giudicante, nel soppesare la concreta offensività della fattispecie di reato – e, dunque, la lieve entità o meno del fatto posto in essere – deve prodursi in una disamina comprensiva di tutti gli indici elencati dalla norma di riferimento.
Il carattere di lieve entità della fattispecie non potrà, quindi, essere affermato od escluso sulla base di un giudizio che tenga conto di uno o più indicatori, testé richiamati, singolarmente considerati e slegati rispetto altri fattori rilevanti di cui al comma 5.
Siffatta impostazione, tuttavia, non richiede che, a fini della esclusione o affermazione della lieve entità, gli elementi valutativi elencati dal comma 5 rivestano, tutti, segno negativo o positivo. È ben possibile, al contrario, che si instaurino compensazioni e neutralizzazioni tra tali elementi e che uno di questi rivesta, nella valutazione operata dal giudice, carattere preminente rispetto agli altri, seppure di segno opposto.
In quest’ultimo caso, il giudice è chiamato, nella parte motiva del suo provvedimento decisionale, a dare atto delle ragioni della prevalenza di un “indice” rispetto ad altri, prevalenza, che, quindi, non potrà essere il frutto di una decisione arbitraria del giudicante ma dovrà necessariamente rappresentare “l’approdo della valutazione complessiva di tutte le circostanze del fatto rilevanti”.
Dovranno, in altri termini, essere rese note le motivazioni per le quali quel determinato elemento abbia assunto, nell’ambito delle valutazioni del giudice, valore assorbente e per le quali “la sua intrinseca espressività sia tale da non poter essere compensata da quella di segno eventualmente opposto di uno o più degli altri”.
Tale ragionamento deve essere seguito anche con riferimento al cd. elemento ponderale, ossia la quantità delle sostanze illecite cui è stato trovato in possesso il soggetto. A tale elemento, invero, viene sovente attribuita portata dirimente ai fini del riconoscimento o dell’esclusione della lieve entità.
Anche il dato quantitativo, pertanto, non può supportare da solo la decisione del giudice, ma dovrà essere confrontato con tutte le altre circostanze fattuali riconosciute come rilevanti dalla norma di riferimento e di tale confronto dovrà essere data contezza nell’impianto motivazionale.
Ciò posto, se è vero che la detenzione di quantitativi minimali è sicuramente un dato che milita a favore della lieve entità del fatto contestato, di contro la presenza di pochi grammi di sostanza stupefacente non comporta l’automatica applicazione della circostanza attenuante de qua, ove sussistano ulteriori indici di segno opposto complessivamente idonei a giustificare l’esclusione del carattere lieve del fatto posto in essere.
– Cass. Sez. IV, sentenza 10.12.2019, n. 49897 –