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Con la recentissima pronuncia n. 13218 del 24 marzo 2022 (dep. 7 aprile 2022) la Suprema Corte di Cassazione ha affermato il principio di diritto secillecito 231, conseguente al reato commesso dalla persona fisica in posizione apicale, anche qualora il risparmio di spesa derivante dalle violazioni realizzate sia esiguo.

La Corte ha, pertanto, escluso che, in un contesto generale di inosservanza da parte dell’impresa delle disposizioni in materia di sicurezza del lavoro, come quello accertato nel caso di specie, possa trovare applicazione il principio di diritto secondo cui, ove il giudice accerti l’esiguità del risparmio di spesa derivante dalla mancata adozione delle cautele doverose, l’interesse della persona giuridica sussiste solo laddove le esigenze della produzione e del profitto siano prevalenti su quelle della tutela dei lavoratori (cfr. Cass., sent. n. 22256 del 3 marzo 2021, Canzonetti).

La pronuncia in commento trova origine da un procedimento penale istaurato nei confronti di un amministratore di società, altresì incaricato per la sicurezza dell’impresa, imputato per lesioni colpose aggravate dall’inosservanza della normativa antiinfortunistica, verificatesi in danno di un dipendente sul luogo di lavoro; parallelamente la società di cui la persona fisica era amministratore era chiamata a rispondere in virtù del combinato disposto degli artt. 5 e 25- septies D.lgs. n. 231 del 2001, essendo stato il reato commesso “nell’esclusivo interesse dell’ente”.

Per difendersi dalla suddetta contestazione, la società lamentava, tra le altre censure proposte coi motivi di ricorso, l’insussistenza dei presupposti della responsabilità dell’ente sotto il profilo della carenza dell’interesse ex art. 5 D.lgs. cit., in quanto le spese sostenute per la manutenzione e la sicurezza sarebbero state di gran lunga superiori al risparmio di spesa che, secondo l’impostazione accusatoria, la società avrebbe conseguito grazie agli inadempimenti nell’adozione di tutte le cautele necessarie per svolgere l’attività in completa sicurezza.

La Corte di legittimità, nel confermare la condanna a carico della società, ha affermato, invece, che, nel caso di specie, non ha alcuna rilevanza il fatto che il risparmio di spesa conseguito per la mancata adozione delle  misure antinfortunistiche sia minimo, a fronte delle spese ingenti sostenute per la manutenzione e la sicurezza; infatti, secondo la Corte di legittimità il principio affermato nella sentenza Canzonetti può trovare applicazione soltanto

“in un contesto di generale osservanza da parte dell’impresa delle disposizioni in materia di sicurezza sul lavoro” e in mancanza di altra prova che la persona fisica, omettendo di adottare determinate cautele, “abbia agito proprio allo scopo di conseguire un’utilità per la persona giuridica”.

Tale non è la fattispecie concreta sottoposta al vaglio della Corte di legittimità, dal momento che nel caso in esame l’infortunio occorso al dipendente rappresenta la concretizzazione di un rischio che è stato valutato esistente dallo stesso datore di lavoro, così come emerge dalla elaborazione del Documento di valutazione dei rischi, e le misure necessarie per prevenirlo nella sua verificazione consapevolmente disattese per un lungo periodo di tempo.

In conclusione, alla luce di quanto osservato la Corte esclude che nel caso sub iudice l’esiguità del risparmio di spesa conseguito dalla società in relazione alla commissione del reato possa escludere la responsabilità della società, la quale, viceversa, pur a fronte di un impatto economico minimo, resta responsabile dell’illecito 231.

Avv. Daniele Speranzini