La Suprema Corte si è di recente espressa sulla portata innovativa della nuova fattispecie di reato rubricato “Fatti di bancarotta fraudolenta” previsto dall’articolo 329 del nuovo Codice della crisi d’impresa e dell’insolvenza (Decreto Legislativo 12 gennaio 2019, n. 14 “Codice della crisi d’impresa e dell’insolvenza in attuazione della legge 19 ottobre 2017, n. 155”).
La predetta disposizione normativa andrà a sostituire, a decorrere dal mese di agosto 2020, l’omonima fattispecie prevista dall’art. 223 L. fall., come previsto dall’art. 389 del D. Lgs. 14/2019, il quale stabilisce che il decreto, salvo alcune eccezioni elencate al comma 2, entrerà in vigore solo dopo che siano decorsi diciotto mesi dalla pubblicazione del Decreto nella Gazzetta ufficiale, avvenuta il 14 febbraio 2019.
La Cassazione, nella sentenza in commento, sottolinea come il rapporto tra le due norme sia di sostanziale continuità.
Il testo del nuovo articolo, infatti, dispone:
“1. Si applicano le pene stabilite nell’articolo 322 agli amministratori, ai direttori generali, ai sindaci e ai liquidatori di società in liquidazione giudiziale, i quali hanno commesso alcuno dei fatti preveduti nel suddetto articolo.
2. Si applicano alle persone suddette la pena prevista dall’articolo 322, comma 1, se:
a) hanno cagionato, o concorso a cagionare, il dissesto della società, commettendo alcuno dei fatti previsti dagli articoli 2621, 2622, 2626, 2627, 2628, 2629, 2632, 2633 e 2634 del codice civile.
b) hanno cagionato con dolo o per effetto di operazioni dolose il dissesto della società.
3. Si applica altresì in ogni caso la disposizione dell’articolo 322, comma 4”.
Il nuovo testo, quindi, riproduce alla lettera le disposizioni contenute nell’art. 223 della Legge fallimentare salvo per quanto attiene l’espressione “società dichiarate fallite”, sostituita con quella di “società in liquidazione giudiziale”.
Tra le innovazioni apportate dal nuovo Codice rientra, infatti, anche la stessa nomenclatura della procedura fallimentare, che viene sostituita con quella di liquidazione giudiziale, superando in tal modo l’accezione negativa che da sempre si ricollega al termine “fallimento”.
Il nuovo Codice, inoltre, introduce rilevanti modifiche in materia civilistica in relazione ai presupposti della ex procedura fallimentare.
Ad essere modificati sono, in particolare, i compiti e i poteri del giudice delegato, del curatore, dei creditori e del soggetto interessato, nonché le diverse scansioni processuali della procedura.
La Cassazione, tuttavia, chiarisce come le modifiche apportate alla disciplina civilistica, non siano state tali da incidere sul requisito dell’insolvenza dell’impresa, proprio della disciplina penalistica in materia di bancarotta.
La definizione di insolvenza prevista dal nuovo art. 2 del Codice della crisi (“lo stato del debitore che si manifesta con inadempimenti od altri fatti esteriori, i quali dimostrino che il debitore non è più in grado di soddisfare regolarmente le proprie obbligazioni”), è, infatti, identica a quella attualmente contenuta nell’art. 5 della Legge fallimentare.
Ne consegue che, esclusi i doverosi adeguamenti lessicali, le norme penali in materia di bancarotta siano rimaste pressoché immutate, non registrandosi alcuna discontinuità normativa tra la nuova e la vecchia disciplina prevista dalla Legge fallimentare.
– Cass. Sez. V, sentenza 4 febbraio 2020, n. 4772 –