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Il D.Lgs n. 142 del 29 novembre 2018, in attuazione della Direttiva UE 2016/1164 del 12 luglio 2016 del Consiglio, come modificata dalla Direttiva UE del 29 maggio 2017, n. 2017/952 del Consiglio del 29 maggio 2017, ha rivisitato in maniera significativa la disciplina sulle società estere controllate, c.d. Controlled Foreign Companies (di seguito C.F.C.), disciplinata dall’art. 167 del TUIR.

La nuova normativa nasce dall’esigenza, avvertita a livello europeo, di “adottare soluzioni che funzionino per il mercato interno nel suo complesso”, volte a contrastare le pratiche transfrontaliere di elusione fiscale (considerando n. 16 della Direttiva 2016/1164).

Secondo quanto chiarito dalla relazione tecnica del decreto legislativo n. 142 del 2018, “la finalità della norma è quella di evitare che i soggetti con società controllate in Paesi a fiscalità privilegiata possano attuare pratiche di pianificazione fiscale in virtù delle quali trasferiscano ingenti quantità di utili dalla società controllante – soggetta ad elevata fiscalità – verso società controllate soggette, invece, a tassazione ridotta”. A tal fine, “la disciplina CFC prevede l’imputazione per trasparenza al soggetto residente nel territorio dello Stato italiano dei redditi conseguiti dal soggetto controllato non residente, anche in assenza di effettiva distribuzione di utili, qualora lo stesso sia assoggettato a tassazione privilegiata”. 

L’istituto è volto, dunque, a contrastare la delocalizzazione all’estero delle imprese nazionali, rendendo imponibili in capo ai soggetti residenti o stabiliti in Italia, ossia in capo al controllante residente, gli utili prodotti dalle società estere controllate, che beneficiano di una tassazione ridotta nello Stato di insediamento e che risultano titolari di determinate categorie di proventi (passive income), senza svolgere un’attività economica effettiva. 

Il novellato comma 1 dell’art. 167 del TUIR stabilisce che la disciplina della C.F.C. si applica “alle persone fisiche di cui agli articoli 5 e 73, comma 1, lett a), b) e c), nonché, relativamente alle loro stabili organizzazioni italiane, ai soggetti di cui all’articolo 73, comma 1, lettera d), che controllano soggetti non residenti”. 

Pertanto, la normativa prevista per le società estere controllate si rivolge a tutti i soggetti IRPEF e IRES residenti in Italia, indipendentemente dalla forma giuridica assunta e dall’attività svolta (Circolare n. 18/E del 27 dicembre 2021), che esercitino su un soggetto estero una forma di controllo. 

Una delle novità fondamentali del nuovo regime di CFC è quella concernente il requisito del controllo. Sul punto, difatti, il novellato comma 2 dell’art. 167 del TUIR, stabilisce che “si considerano soggetti controllati non residenti le imprese, le società e gli enti non residenti nel territorio dello Stato, per i quali si verifica almeno una delle seguenti condizioni: a) sono controllati direttamente o indirettamente, anche tramite società fiduciaria o interposta persona, ai sensi dell’art. 2359 del codice civile, da parte di una soggetto di cui al comma 1; b)oltre il 50 per cento della partecipazione ai loro utili è detenuto, direttamente o indirettamente, mediante una o più società controllate ai sensi dell’art. 2359 del codice civile o tramite società fiduciaria o interposta persona, da un soggetto di cui al comma 1”. 

Tale novità comporta, dunque, all’interno dell’ordinamento italiano la coesistenza di due tipologie di controllo, difatti, al tradizionale controllo civilistico di cui all’art. 23259 c.c., si affianca ora il c.d. controllo economico. 

Come chiarito dall’Amministrazione finanziaria, nella Circolare n. 18/E del 27 dicembre 2021, la nuova forma di controllo ricorre ogniqualvolta il soggetto residente vanti un diritto a partecipare a più del 50% degli utili della società estera controllata, “a prescindere dal nomen iuris del contratto o dello strumento contemplato nella giurisdizione estera”. 

Giova, inoltre, precisare, sempre con riferimento al controllo economico, che “in caso di partecipazione indiretta, la percentuale di partecipazione agli utili è determinata tenendo conto della eventuale demoltiplicazione prodotta dalla catena societaria partecipativa” (relazione tecnica del decreto legislativo n. 142 del 2018). 

Pertanto, se la società residente ALFA controlla al 90% sia la società BETA che la società GAMMA e quest’ultime partecipano agli utili del soggetto estero in misura pari al 40% ciascuna, senza possedere voti in assemblea, per effetto della demoltiplicazione, la società ALFA indirettamente partecipa al 72% degli utili della CFC e quindi sussiste il requisito del controllo economico di cui al comma 2, lett. b) dell’art. 167 del TUIR. 

Viceversa, se la società ALFA controlla sia la società BETA che la società GAMMA al 60% e queste partecipano agli utili della CFC in misura pari al 30%, senza possedere voti in assembla, il requisito del controllo della CFC non si è verificato in capo alla società ALFA, la quale indirettamente partecipa agli utili della società estera solo per il 36%. 

Al comma 4 dell’art. 167 del TUIR sono disciplinate le condizioni al ricorrere delle quali si applica la disciplina C.F.C. Nello specifico il sopracitato comma 4 sancisce che, il nuovo regime C.F.C trova applicazione per i redditi dei soggetti esteri controllati, qualora ricorrano congiuntamente due requisiti:  

  1. sono assoggettati a tassazione effettiva inferiore alla metà di quella a cui sarebbero stati soggetti qualora residenti in Italia” (c.d. effective tax rate test); 
  2. oltre un terzo dei proventi da essi realizzati rientra in determinate categorie di ricavi (passive income)”.

Con riferimento alla condizione di cui alla sopratrascritta lett. a) è, dunque, necessario operare un confronto tra “tax rate effettivo estero” ed il “tax rate virtuale interno”. Quest’ultimo “viene calcolato procedendo alla rideterminazione del reddito in base alle disposizioni fiscali interne applicate all’utile ante imposte risultante dal bilancio della controllata” (relazione tecnica del decreto legislativo n. 142 del 2018). Per calcolare la tassazione virtuale interna rileva l’imposta sul reddito delle società (IRES), “senza considerare sue eventuali addizionali, al loro di eventuali crediti di imposta per i redditi prodotti in uno Stato diverso da quello di localizzazione della controllata” (Provvedimento del direttore dell’Agenzia delle entrate n. 376652 del 27 dicembre 2021). 

Mentre, per determinare la tassazione effettiva estera (c.d. effective tax rate  estero), come chiarito dal Provvedimento n. 376652 del 2017 sopracitato, rilevano “sia le imposte sul reddito effettivamente dovute dall’entità estera controllata nello Stato di localizzazione, al netto dell’utilizzo di eventuali crediti d’imposta per i redditi prodotti in Stati diversi da quello di insediamento, sia le imposte prelevate sui redditi della medesima entità estera in altre giurisdizioni, versate a titolo definitivo e non suscettibili di rimborso”. 

Il provvedimento consente, dunque, di considerare nell’effective tax rate estero non solo le imposte pagate nello Stato di localizzazione ma anche quelle pagate a titolo definitivo in altri Stati. 

Per quanto riguarda, invece, la seconda condizione di cui alla lett. b), questa si intende realizzata quando il soggetto estero controllato consegua oltre un terzo del proprio reddito attraverso i c.d. passive income, i quali sono costituiti da interessi, dividendi e canoni, redditi da leasing finanziario, redditi da attività finanziarie, redditi da operazioni di cessione di beni o prestazione di servizi a valore economico aggiunto scarso o nullo effettuate nell’ambito del gruppo.

Si tratta, dunque, di proventi derivanti da una gestione passiva che, per le loro caratteristiche, si presentano maggiormente mobili e, pertanto, idonei a consentire strategie volte a delocalizzare artificiosamente redditi all’estero, in contesti caratterizzati da pressione fiscale bassa o addirittura nulla. 

Ne consegue, dunque, che devono considerarsi esclusi dall’ambito applicativo della disciplina di cui all’art. 167 le controllate estere che, seppur soggette all’estero ad un livello di tassazione effettiva inferiore al 50% di quello corrispondente domestico, abbiano realizzato proventi costituiti da “passive income” in misura solo marginale, ossia non più di un terzo dei propri proventi. 

Particolare attenzione merita la previsione di cui al novellato comma 10 dell’art. 167 del TUIR, disciplinante la distribuzione degli utili della CFC. Sul punto, il sopracitato comma prevede che “Gli utili distribuiti, in qualsiasi forma, dai soggetti controllati non residenti non concorrono alla formazione del reddito dei soggetti di cui al comma 1 fino a concorrenza dei redditi assoggettati a tassazione ai sensi del comma 8 anche nei periodi di imposta precedenti”. 

La norma, dunque, nella sua formulazione attuale, dà la “possibilità di dedurre dalla base imponibile a cui assoggettare eventualmente gli utili distribuiti dalla CFC al soggetto controllante in Italia, “gli importi” dei redditi che hanno precedentemente formato oggetto di tassazione per trasparenza in capo al socio italiano” (Circolare n. 18/E del 2021)

Viene, dunque, meno la previgente prassi amministrativa secondo cui “l’imputazione per trasparenza al socio italiano del reddito della CFC esaurisce il prelievo fiscale in relazione a tale reddito, con la conseguenza che gli utili distribuiti dalla CFC sono totalmente esclusi da tassazione al momento della distribuzione” (Circolare n. 51/E del 2010). 

Di conseguenza, secondo quanto affermato dalla Circolare n. 51/E del 2010, l’utile eventualmente distribuito non avrebbe concorso alla formazione del reddito del soggetto controllante qualora fosse derivato da un reddito già imputato per trasparenza.  

Tale approccio suscitava non poche perplessità, soprattutto con riferimento al socio persona fisica. Quest’ultimo, difatti, fruiva di un evidente beneficio fiscale, non dovendo sottoporre a tassazione l’utile distribuito dalla C.F.C., essendo lo stesso originato da un reddito precedentemente tassato per trasparenza solo per il 5% del suo ammontare. Ed, invero, se il dividendo fosse stato distribuito da una società partecipata italiana o estera, non sottoposta al regime CFC, sarebbe stato tassato sul 100% del suo ammontare nella misura del 26%. 

Per ovviare a tale inconveniente, la normativa interna, analogamente a quanto statuito dall’art. 8, par. 5, dalla Direttiva UE 2016/1164, “prevede la possibilità di escludere dalla formazione della base imponibile la quota parte degli utili riferibile a redditi imputati e tassati per trasparenza in capo al socio italiano (<< fino a concorrenza>>)” Più precisamente, secondo quanto chiarito dall’Agenzia delle Entrate, nella Circolare n. 18/E del 2021, “per ottemperare al disposto della direttiva, l’applicazione della disciplina CFC determina l’accumulo di un “basket” di utili della CFC tassati per trasparenza. Tale basket rappresenta una sorta di “franchigia” all’interno della quale gli utili successivamente distribuiti dalla CFC non dovranno scontare (di nuovo) l’imposizione in capo al partecipante residente”.

Pertanto, nel caso in cui tali utili risultino superiori rispetto al corrispondente reddito imputato per trasparenza, l’eccedenza sconterà l’imposizione ordinaria, pari al 26% nel caso in cui il partecipante sia persona fisica ovvero mediante l’applicazione dell’aliquota IRES sulla quota imponibile del 5% del dividendo stesso.

Tale misura ha, dunque, la finalità di evitare fenomeni di doppia imposizione sullo stesso reddito. 

A tal proposito si reputa opportuno rilevare che, l’esempio proposto dalla Circolare n. 18/E del 2021, così come formulato, sembra però non raggiungere lo scopo della norma, almeno con riferimento ai soggetti IRES. 

L’Amministrazione finanziaria riporta, al paragrafo 10 della suddetta Circolare, l’ipotesi in cui un soggetto IRES non IAS/IFRS adopter, che detiene il 100% della controllata estera (CFC), la quale realizza in un determinato anno un utile pari a 200, costituito da 180 dividendi “white list” e 20 dividendi “black list”. Tale utile, in applicazione della disciplina C.F.C., verrà tassato per trasparenza in capo al soggetto controllante. Nello specifico, i dividendi white verranno tassati per il 5% del loro ammontare, ossia per 9; mentre, i dividendi black saranno tassati interamente per trasparenza, ossia per 20.  L’ammontare di reddito che andrà a costituire la franchigia, c.d. basket, sarà, dunque, pari a 29. 

Laddove successivamente la CFC dovesse distribuire tali utili, questi ultimi, essendo già stati tassati per trasparenza, si considerano dividendi white e, dunque, se eccedenti la franchigia sconteranno sulla differenza l’imposizione ordinaria del 24% sulla quota imponibile del 5%.

Pertanto, con riferimento all’esempio sopratrascritto, nel momento in cui l’utile di 200 dovesse essere distribuito, secondo quanto affermato nella sopra citata circolare, questo sconterà l’imposta limitatamente per l’eccedenza, ossia per 171, essendo la franchigia pari a 29. 

E’ evidente, dunque, che dall’esempio offerto dall’Amministrazione finanziaria emerge che il medesimo reddito, dopo essere stato tassato per trasparenza in capo al soggetto IRES, viene nuovamente tassato in capo allo stesso soggetto al momento della distribuzione dell’utile. 

Tale paradossale risultato, secondo quanto opportunamente rilevato da Assonime, nella “Risposta alla consultazione pubblica indetta dall’Agenzia delle Entrate n. 9/2021”, non si verificherebbe nel caso in cui il basket fosse alimentato, con riferimento ai dividendi white, non per 9 bensì per 180. Pertanto, non dovrebbe assumere alcuna rilevanza il fatto che si tratti di un dividendo black, integralmente soggetto a tassazione, ovvero di un dividendo white, che concorre a formare l’imponibile nei soli limiti del 5%. 

Dott.ssa Sofia Ludovica Giurlani

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