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La Corte di Cassazione, con sentenza n. 19851 del 6 maggio 2022, fornisce taluni importati chiarimenti sul momento consumativo del reato di cui all’art. 316-bis c.p. 

Nello specifico, la Suprema Corte è stata chiamata a chiarire:

“se [il momento consumativo del reato di cui all’art. 316-bis c.p., n.d.r.] coincida con la maturazione del termine eventualmente previsto nel contratto da cui origina l’erogazione del finanziamento oppure coincida con quello in cui – anche prima della scadenza del termine suddetto – il destinatario faccia delle somme un uso diverso da quello istituzionale”.

Secondo i giudici di legittimità, deve ritenersi preferibile la prima tra le summenzionate impostazioni ermeneutiche con la conseguenza che non può ritersi automaticamente configurato il delitto de quo laddove la diversa destinazione delle somme di cui al finanziamento europeo sia avvenuta prima del termine, pattuito contrattualmente, per la realizzazione della finalità pubblica.

La questione in oggetto, dunque, attiene alla rilevanza del termine previsto nell’accordo di finanziamento, ai fini della consumazione del delitto de quo. Il presente quesito, peraltro, a detta degli stessi giudici di legittimità, “non ammette una risposta univoca”. 

Ed invero, il giudicante è chiamato, di volta in volta, a valutare le peculiarità del caso concreto, avendo particolare riguardo alle condizioni contrattuali e alla tipologia dei finanziamenti erogati. Secondo la Suprema Corte, dunque, appare più che mai “imprescindibile il confronto dell’interprete con le specifiche situazioni concrete”.

Il principio di diritto poc’anzi enunciato, pertanto, dovrà ritersi valevole per ipotesi fattuali assimilabili a quella per cui è procedimento.

L’arresto in discorso, in particolare, riferisce il caso di un imprenditore condannato per il reato, all’epoca, di “Malversazione a danno dello Stato” (oggi, “Malversazione di erogazioni pubbliche”, a seguito della modifica da parte del D.L. 25 febbraio 2022, n. 13), per aver utilizzato, dal gennaio 2015 al giugno 2015, erogazioni ottenute dall’Unione Europea a titolo di sovvenzione, “per spese estranee al progetto” per il quale tali importi erano stati erogati.

Segnatamente, l’imputato ha bonificato parte dei predetti fondi, destinandoli a conti correnti personali ovvero intestati a società allo stesso riconducibili.

Alla stregua del contratto di finanziamento, l’imprenditore-beneficiario avrebbe dovuto effettuare la prestazione a suo carico – ossia, la destinazione delle somme alla finalità istituzionale convenuta – entro due anni dalla erogazione della prima parte delle somme concesse. 

Le erogazioni “incriminate”, tuttavia, sono state disposte prima del termine di cui sopra e, dunque, in un momento in cui, in astratto, il progetto avrebbe potuto ancora essere realizzabile.

La Suprema Corte, dunque, ha ritenuto di censurare le conclusioni rassegnate dai giudici inferiori ed annullare, con rinvio, la sentenza impugnata.

Sul punto, i giudici di legittimità richiamano le considerazioni svolte nel corso della riforma del 1990 che ha coinvolto, inter alia, la fattispecie incriminatrice in discorso. In tale occasione, il Governo ha precisato come la “Malversazione a danno dello Stato” si perfezionasse, non, in forza di una mera temporanea distrazione delle somme erogate, bensì, con l’effettiva destinazione di queste ultime a finalità diverse rispetto a quella per la quale erano state elargite dall’ente pubblico.

L’impostazione testé riportata, peraltro, si giustifica in ragione del bene giuridico la cui tutela è perseguita dall’art. 316-bis c.p., ossia l’interesse a che gli importi oggetto di erogazione per il perseguimento di finalità pubbliche vegano concretamente impiegati per tali scopi.

Avendo, dunque, riguardo al caso in cui il contratto di finanziamento prevenda un termine per l’esecuzione del progetto, la Suprema Corte ha statuito come, fin tanto che tale termine non sia maturato, il beneficiario, in astratto, può porre in essere condotte ictu oculi distrattive rispetto alla finalità pubblicistica per la quale gli importi sono erogati. 

Ciò che, viceversa, rileva ai fini della configurabilità del reato in discorso è la concreta possibilità che, anche a seguito delle suindicate condotte, il beneficiario sia ancora in grado di realizzare gli scopi istituzionali pattuiti.

Se, dunque, la ratio della norma che ne occupa è quella di garantire l’effettiva destinazione pubblicistica degli importi oggetto di erogazione, non può ritenersi configurato il reato in discorso sinché siffatta destinazione non risulti, irreversibilmente, pregiudicata.

Secondo la Corte di Cassazione, pertanto,

“il delitto di malversazione non può […] considerarsi perfezionato fintanto che residuino spazi per la realizzazione della finalità istituzionale del finanziamento”.

Diversamente opinando, peraltro, si perverrebbe, ad una inaccettabile anticipazione della soglia del penalmente rilevante, in spregio al confine tracciato dal Legislatore, concedendo un margine eccessivo alla discrezionalità giudiziaria con la conseguenza che diverrebbe inammissibilmente difficoltoso, per il beneficiario, prevedere le conseguenze penali delle proprie condotte di gestione dell’erogazione pubblica.

Avv. Daniele Speranzini