La Suprema Corte è stata recentemente chiamata a pronunciarsi in ordine al reato di cui all’art. 2, Lg. 74/2000, con particolare riferimento alla necessità ai fini della integrazione della fattispecie de qua – in ipotesi di emissione di fatture per operazioni soggettivamente inesistenti – che il contribuente (l’utilizzatore della fattura) sia consapevole dell’evasione perpetrata dal fornitore in relazione alle fatture da quest’ultimo emesse e debitamente saldate dal primo.
La Suprema Corte dopo aver confermato – in linea con il proprio costante insegnamento – come l’elemento soggettivo della fattispecie in esame postuli necessariamente, in capo all’utilizzatore, la consapevolezza dell’evasione del fornitore, affronta tuttavia un tema ulteriore.
Viene, invero, chiarita la portata probatoria che possono assumere le risultanze tributarie nell’ambito del procedimento penale le quali possono, sì, essere ammesse e poste a fondamento del giudizio di responsabilità dell’imputato e di sussistenza del reato contestato, ma, come tutte le prove, restano liberamente valutabili dal giudicante secondo le disposizioni del codice di rito.
La presente conclusione, peraltro, rappresenta il logico portato del principio di separazione ed autonomia del processo penale rispetto alle procedure di natura tributaria.
Il giudizio circa la sussistenza di una determinata fattispecie criminosa spetta, pertanto, unicamente al giudice penale il quale si determinerà, in ossequio al principio del libero convincimento, sulla base degli elementi di fatto rivenienti dall’istruttoria dibattimentale.
Cass., Sez. III, 9 luglio 2018, n. 30874