Le Sezioni Unite sono state, di recente, chiamate a pronunciarsi sul seguente – annoso – quesito: “Se nel corso del giudizio abbreviato condizionato ad integrazione probatoria o nel quale l’integrazione sia stata disposta dal giudice, sia consentito procedere alla modificazione dell’imputazione o a contestazioni suppletive con riguardo a fatti già desumibili dagli atti delle indagini preliminari e non collegati agli esiti dei predetti atti istruttori“.
Come noto, a norma dell’art. 441 c.p.p., alla udienza nella quale si celebra il giudizio abbreviato si applica la disciplina prevista per l’udienza preliminare, fatta eccezione per le disposizioni normative di cui agli artt. 422 e 423 c.p.p.
Trattasi, l’una, del cd. attività di integrazione probatoria che il giudicante può disporre nel corso della udienza preliminare, nel caso in cui ritenga l’assunzione di talune prove evidentemente decisiva ai fini della sentenza di non luogo a procedere. L’art. 423 c.p.p., invece, dispone che “se nel corso dell’udienza il fatto risulta diverso da come è descritto nell’imputazione ovvero emerge un reato connesso a norma dell’articolo 12 comma 1 lettera b), o una circostanza aggravante, il pubblico ministero modifica l’imputazione e la contesta all’imputato presente. Se l’imputato non è presente, la modificazione dell’imputazione è comunicata al difensore, che rappresenta l’imputato ai fini della contestazione.
2. Se risulta a carico dell’imputato un fatto nuovo non enunciato nella richiesta di rinvio a giudizio, per il quale si debba procedere di ufficio, il giudice ne autorizza la contestazione se il pubblico ministero ne fa richiesta e vi è il consenso dell’imputato”.
In linea generale, quindi, nel corso del giudizio abbreviato, è preclusa al Pubblico Ministero la possibilità di modificare l’imputazione ovvero di effettuare contestazioni suppletive e ciò, anche quando l’imputazione stessa sia caratterizzata da errori od omissioni facilmente desumibili dalla lettura degli atti delle indagini preliminari (cd. imputazione patologica).
Tali riflessioni, tuttavia, devono essere lette in uno con quanto disposto dalla Legge 16 dicembre 1999, n. 479, la quale ha introdotto la facoltà, all’interno del giudizio abbreviato, di ampliare il quadro probatorio risultante dagli atti investigativi, su richiesta, che deve trovare accoglimento da parte del giudice, dell’imputato (rito abbreviato cd. “condizionato”) oppure su disposizione del giudice stesso.
In forza di tale intervento normativo, quindi, il giudizio abbreviato ha perso quantomeno parzialmente la sua originaria rigidità, essendo, ad oggi, possibile un “ampliamento della base cognitiva del processo, con la immissione di materiale istruttorio “nuovo” rispetto a quello già presente in atti”.
Ammettendo, quindi, la predetta possibilità di “ampliamento”, il Legislatore ha dovuto necessariamente prendere in considerazione l’ipotesi in cui, dalle attività di integrazione probatoria, emergano nuove circostanze aggravanti o nuovi reati connessi a quelli già oggetto del giudizio.
In siffatta eventualità, infatti, è stato previsto che, da un lato, l’organo inquirente possa procedere con le attività di cui all’art. 423 c.p.p. – disposizione che torna, dunque, ad essere applicabile anche nel corso del rito abbreviato – e, dall’altro lato, l’imputato possa, alternativamente, dichiarare di rinunciare al rito speciale ovvero chiedere, a sua volta, l’ammissione di nuove prove.
In ordine, tuttavia, alla possibilità di modifica e/o integrazione dell’imputazione – che torna ad essere praticabile in ipotesi di integrazione probatoria nel giudizio abbreviato – ci si è, a lungo, domandati se la “rettifica” del capo di incolpazione sia ammissibile tout court, ovvero se debba necessariamente trovare fondamento negli elementi probatori “nuovi”, rivenienti dall’attività di cui all’art. 422 c.p.p.
In altri termini, può l’organo inquirente procedere ai sensi dell’art. 423 c.p.p. anche se gli elementi fattuali su cui si fonda la modifica o l’integrazione della contestazione siano desumibili dagli atti delle indagini preliminari, non adeguatamente presi in considerazione in un momento antecedente?
Le Sezioni Unite chiariscono come, nonostante sia stata ammessa l’operatività dell’art. 423 c.p.p. anche nel corso del rito abbreviato, tale novità deve essere adeguatamente interpretata alla luce delle peculiarità del rito in questione.
Il giudizio abbreviato, giova ricordarlo, rappresenta un istituto di natura premiale nell’ambito del quale l’imputato tollera importanti limitazioni processuali che comprimono inevitabilmente il suo diritto di difesa – si decide, invero, “allo stato degli atti” con esclusione della fase della istruttoria dibattimentale – al fine di beneficare della riduzione di pena prevista dal codice di rito.
L’imputato, prosegue la Suprema Corte, si determina in questo senso basandosi, proprio, sugli atti del procedimento, per come sono al momento in cui effettua tale scelta, valutazione, questa, che “non può prescindere dal tenore della imputazione che costituisce, per il suo contenuto, la sintesi degli addebiti che vengono mossi proprio in loro funzione”.
Alla luce del peso che, quindi, l’imputazione assume nell’orientare l’imputato nella scelta del rito, le Sezioni Unite hanno statuito che “il pubblico ministero non è legittimato a variare la imputazione originariamente formulata recuperando aspetti già desumibili dal contenuto del fascicolo depositato al momento della richiesta di ammissione al rito, ma non correttamente considerati”.
Non è, invero, ammissibile che la decisione del giudice di ampliare il quadro probatorio, accogliendo la richiesta di giudizio abbreviato cd. condizionato ovvero procedendo ex officio ad integrazione probatoria, rappresenti “l'”occasione” per il pubblico ministero di mutare e adeguare il tenore dell’accusa rispetto a quanto già in atti”. Diversamente opinando, infatti, si perverrebbe ad una evidente ed inammissibile disparità di trattamento, rispetto al caso in cui il giudice non senta alcuna necessità di allargare la piattaforma probatoria.
È stato, in conclusione, enunciato il seguente principio di diritto: “nel corso del giudizio abbreviato condizionato ad integrazione probatoria a norma dell’art. 438, comma 5, cod. proc. pen. o nel quale l’integrazione sia stata disposta a norma dell’art. 441, comma 5, dello stesso codice è possibile la modifica dell’imputazione solo per i fatti emergenti dagli esiti istruttori ed entro i limiti previsti dall’art. 423 cod. proc. pen.”.
Ad onor di completezza, specificano le Sezioni Unite che tale impostazione non trova applicazione ove l’organo inquirente proceda, dopo che sia stata disposto il rito abbreviato, a meramente rettificare imprecisioni contenute nel capo di imputazione, che “non incidano sugli elementi essenziali dell’addebito in considerazione dei quali l’imputato ha compiuto le sue scelte difensive”.
Ed ancora, sotto il profilo temporale, viene affermato che la modificazione e/o integrazione della imputazione, ex art 422 c.p.p., è possibile sino a che il giudicante non abbia disposto il rito speciale con ordinanza, anche se la relativa richiesta sia già stata formulata dall’imputato. Prima della formale instaurazione del rito speciale, infatti, il procedimento versa ancora nella fase della udienza preliminare e trova, per l’effetto, applicazione la relativa disciplina senza limitazioni di sorta.
– Cass. Sez. Un., sent. 13 febbraio 2020, n. 5788 –