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Le Sezioni Unite si sono recentemente espresse in materia di successione delle leggi penali nel tempo e, in particolare, sull’applicabilità del cd. Principio della irretroattività della norma penale sfavorevole, argomento, questo, involvente considerazioni di amplissimo respiro che, trascendendo le peculiarità del caso concreto, coinvolgono l’intero ordinamento penale ed i principi fondamentali che lo informano.
I giudici di legittimità, in particolare, sono stati chiamati a dirimere la seguente controversia “se, a fronte di una condotta interamente posta in essere sotto il vigore di una legge penale più favorevole e di un evento intervenuto nella vigenza di una legge penale più sfavorevole, debba trovare applicazione la legge vigente al momento della condotta ovvero quella vigente al momento dell’evento”.
Trattasi, nel caso di specie, del reato di lesioni personali colpose, commesso prima dell’avvento della legge n. 41 del 2016 (che ha introdotto il reato di “omicidio stradale” ex art. 589-bis c.p.). A distanza di tempo dall’incidente – e, segnatamente, in un momento successivo all’introduzione normativa predetta – fa, però, seguito la morte del soggetto leso.
Ebbene, in una ipotesi siffatta, soggiace l’agente al regime sanzionatorio “ante 2016”, venendo, pertanto, chiamato a rispondere di reato omicidio colposo aggravato a norma del comma II dell’art. 589 c.p., ovvero dovrà scontare la pena prevista dal nuovo art. 589-bis c.p., posto che l’evento morte si è verificato sotto la vigenza della, più sfavorevole, normativa?
La Suprema Corte, in ossequio ai postulati fondanti l’intero sistema della responsabilità penale, ha ritenuto di dover accogliere la prima tra le summenzionate soluzioni, prediligendo, pertanto, il cd. principio della condotta anziché, di contro, quello che valorizza il momento della consumazione del delitto.
E che tale soluzione risponda alle esigenze di garanzia del singolo assicurate dallo stato di diritto, lo attesta la ratio sottesa al cd. principio di irretroattività della norma più sfavorevole il quale, come noto, mira a rispondere all’istanza di preventiva valutabilità per l’agente delle conseguenze penali della propria condotta.
Tale istanza, peraltro, rappresenta il logico corollario del principio statuito dall’art. 27 della Costituzione.
La “personalità” della responsabilità penale, infatti, postula necessariamente che l’agente sia nelle condizioni di poter calcolare e prevedere con chiarezza le ripercussioni giuridiche della condotta delittuosa affinché quest’ultima possa essergli contestata (e, con essa, il relativo evento) quale frutto di una libera autodeterminazione individuale.
Ed è proprio in ragione di considerazioni siffatte, che le Sezioni Unite hanno ritenuto di prediligere, quale criterio discretivo nell’applicazione della legge penale, quello cd. della condotta giacché è nel momento in cui il comportamento illecito si concretizza – e non, viceversa, all’atto, conseguente, della consumazione del reato – che “si realizza il contrasto tra la volontà imputabile del delinquente e la volontà di legge”.
Posto, in conclusione, che il principio di irretroattività della norma sfavorevole deve – e non potrebbe essere diversamente – essere valutato in uno con il postulato della personalità della responsabilità penale, ne deriva che il “punto di riferimento temporale” al quale deve essere connessa la operatività del predetto principio non potrà che essere quello della condotta giacché è in tale occasione che il soggetto pondera le conseguenze penali del proprio agire.