Tra le diverse fattispecie preposte dal nostro ordinamento a tutela del diritto d’autore, si rinvia, in questa sede, al comma primo dell’art. 171-bis (Legge del 22 aprile 1941, n. 633) il quale dispone “Chiunque abusivamente duplica, per trarne profitto, programmi per elaboratore o ai medesimi fini importa, distribuisce, vende, detiene a scopo commerciale o imprenditoriale o concede in locazione programmi contenuti in supporti non contrassegnati dalla Società italiana degli autori ed editori (SIAE), è soggetto alla pena della reclusione da sei mesi a tre anni e della multa da lire cinque milioni a lire trenta milioni”. La Suprema Corte, con sentenza n. 30047 del 4 luglio 2018, ha precisato che, avendo riguardo a soggetti esercenti attività commerciali e/o industriali, “la stessa detenzione ed utilizzazione di programmi software [privi di licenza d’uso, n.d.r.] nel campo commerciale o industriale integra il reato in oggetto”.
La Suprema Corte, in ragione di tale assunto, ha ritenuto di dover respingere il ricorso avverso il rigetto della istanza di riesame presentata da una società che si è vista porre sotto sequestro, per finalità probatorie, i computer ove erano installati programmi dei quali non è stata reperita la relativa licenza d’uso. I giudici di legittimità, in particolare, hanno ricordato come, in sede di riesame del sequestro probatorio, il giudice sia chiamato, non, a valutare la fondatezza dell’accusa prospettata dal pubblico ministero, bensì a “verificare l’astratta configurabilità del reato ipotizzato, valutando il fumus bonis iuris in relazione alla congruità degli elementi presentati”. La Terza Sezione, in altri termini, ritiene che il giudicante debba chiedersi se, alla luce delle circostanze prospettate a sostegno della richiesta di applicazione della misura cautelare, possa ritenersi opportuno l’espletamento di ulteriori indagini le quali comportino, nello specifico, la sottrazione del bene all’indagato.
Posta, allora, la premessa di cui sopra, l’accertamento, da un lato, della tipologia di attività svolta dalla società indagata (“attività di progettazione meccanica ed elettronica nel settore delle auto motive”, di natura, pertanto, commerciale) e, dall’altro, della detenzione da parte di quest’ultima di computer ove erano installati programmi privi di licenza d’uso, non potevano che suggerire l’opportunità di ulteriori indagini finalizzate, in particolar modo, ad accertare l’effettiva “duplicazione” dei programmi nonché la paternità di tale operazione.
A conclusioni di segno opposto è pervenuta, invece, la Corte relativamente all’ipotesi in cui la condotta di detenzione di software illegittimamente acquisiti sia realizzata da una società dedita ad attività libero-professionale, non rientrando tale impiego tra quelli rilevanti per l’integrazione della fattispecie in esame (“detiene a scopo commerciale o imprenditoriale”). In tale differente situazione, pertanto, essendo carente un elemento della struttura delittuosa, non potrà ritenersi sussistente quel fumus bonis iuris indispensabile ai fini della applicazione della misura cautelare reale.