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La sentenza del Tribunale di Roma, Sezione speciale in materia di imprese, del 10 settembre 2020 ha affrontato il tema dell’opponibilità del potere di rappresentanza degli amministratori a terzi, previsto all’art 2475-bis del codice civile.

Il Tribunale con la pronuncia in commento statuisce come anche nelle società a responsabilità limitata è possibile attribuire il potere di rappresentanza soltanto ad alcuni amministratori, poiché la regola posta dall’art. 2475 bis c. 1 c.c. assume rilevanza unicamente nel silenzio dello statuto o dell’atto di nomina. Tuttavia, spetta esclusivamente alla società (e non ai soci) valutare la ricorrenza dei presupposti ex art. 2475 bis c. 2 c.c. ai fini dell’opposizione ai terzi delle limitazioni del potere amministrativo.

Il caso prende le mosse dalla contestazione avanzata da alcuni soci di una società a responsabilità limitata che chiedevano che venissero dichiarati inefficaci – e, quindi, giuridicamente non opponibili a società terze – alcuni contratti di subappalto che erano stati sottoscritti dal solo Presidente del Consiglio di Amministrazione, violando alcune regole sociali contenute nell’atto costitutivo e nello statuto, dove era previsto, anche per i contratti di subappalto che fosse necessaria sottoscrizione congiunta del Presidente del Consiglio di Amministrazione e di almeno uno dei due vice-presidenti della società.

Le parti attrici richiamavano l’orientamento della giurisprudenza di legittimità (Cassazione civile, Sezioni Unite, 3 giugno 2015, n.11377) per il quale, ai sensi dell’articolo 1388 del Codice Civile, il negozio concluso da chi agisce come rappresentante senza averne i poteri o eccedendo i limiti dei propri poteri è inefficace e non impegna la sfera giuridica del preteso rappresentato, salvo ratifica di quest’ultimo avente efficacia retroattiva.

Nella sentenza in commento, il Tribunale di Roma evidenzia che la norma generale in tema di rappresentanza volontaria riguarda i rapporti fra rappresentante e rappresentato e non l’efficacia dell’atto concluso dal falsus procurator nei confronti dei terzi e non risulta, comunque, automaticamente trasponibile in tema di rappresentanza delle società di capitali, in quanto espressamente derogata dall’articolo 2745 bis del Codice Civile sulla rappresentanza generale degli amministratori, che scinde il potere di rappresentanza dal potere gestorio.

Secondo tale disposizione, infatti, tutti gli amministratori della S.r.l. hanno la rappresentanza generale della società come qualità legale intrinseca del loro ufficio, indipendentemente dal regime di amministrazione prescelto, e “le limitazioni ai poteri degli amministratori che risultano dall’atto costitutivo o dall’atto di nomina, anche se pubblicate, non sono opponibili ai terzi, salvo che si provi che questi abbiano intenzionalmente agito a danno della società”.

Sono due i quesiti che si sono posti i giudici:

1. E’ possibile attribuire il potere di rappresentanza soltanto ad alcuni amministratori e, quindi, è possibile una dissociazione tra potere gestorio e potere rappresentativo?

A favore dell’orientamento favorevole, cui il Tribunale aderisce, si rileva che tra le indicazioni che l’atto costitutivo deve necessariamente contenere rientrano quelle concernenti la rappresentanza della società (art. 2463 comma 2, n. 7 c.c.) e che l’art. 2383 comma 4 (richiamato dall’art. 2475 comma 2 c.c.) prevede che

«entro trenta giorni dalla notizia della loro nomina gli amministratori devono chiederne l’iscrizione nel registro delle imprese indicando (…) a quali tra essi è attribuita la rappresentanza della società, precisando se disgiuntamente o congiuntamente».

D’altra parte, il successivo art. 2475-ter c.c. discorre di «amministratori che hanno la rappresentanza della società» e lascia, quindi, desumere che possono esservi amministratori che non hanno detto potere in conseguenza di limitazioni poste dall’atto costitutivo o dall’atto di nomina. In definitiva, l’applicazione delle richiamate norme consente di affermare che, anche nelle società a responsabilità limitata, sia possibile attribuire il potere di rappresentanza soltanto ad alcuni amministratori ovvero ricollegarla alla titolarità di alcune cariche, quale, ad es., la carica di amministratore delegato o di presidente del consiglio di amministrazione: la regola posta dall’art. 2475-bis, primo comma, c.c. costituisce una norma di default destinata ad assumere rilevanza nel silenzio dello statuto o dell’atto di nomina.

2. E’ possibile opporre ai terzi tale limite statutario al potere di rappresentanza?

Più problematica la questione se, tali limitazioni possano avere rilevanza esterna ed essere opponibili ai terzi. Secondo l’orientamento che appare preferibile, l’esclusione in capo a taluni amministratori della rappresentanza della società costituisce pur sempre una limitazione del potere rappresentativo (considerato nel suo complesso) ed è, quindi, sottoposto alla disciplina del secondo comma dell’art. 2475-bis c.c. con conseguente irrilevanza nei confronti dei terzi che non abbiano agito intenzionalmente a danno della società. In questa prospettiva, si afferma che, se il potere rappresentativo discende direttamente dalla legge, la dissociazione dei poteri che si genera con l’attribuzione della rappresentanza solo ad alcuni amministratori costituisce una scelta organizzativa interna, frutto del potere dispositivo dei soci e, dunque, una limitazione che deriva dall’atto costitutivo o dall’atto di nomina, soggetta al regime previsto dall’art. 2475-bis, secondo comma c.c.

Ne deriva che la violazione del suddetto limite rileva unicamente sul piano dei rapporti interni alla società e non si traduce in una ragione di invalidità o di inefficacia del negozio stipulato dall’amministratore in violazione delle limitazioni, soggettive o oggettive, previste nell’atto costitutivo o nello statuto.

Da ciò si ricava come, da un lato, la violazione dei limiti convenzionali al potere rappresentativo degli amministratori non dà luogo ad un vizio di invalidità o all’inefficacia del contratto e, dall’altro, che soltanto la società è legittimata, nel concorso degli elementi indicati dal secondo comma dell’art. 2475-bis c.c., ad opporre ai terzi quelle limitazioni.

Quindi, il contratto stipulato tra la società rappresentata dall’amministratore che viola le limitazioni dei propri poteri e il terzo, è pertanto vincolante per la società e il rilievo dei limiti al potere rappresentativo si esaurisce sul piano dei rapporti interni alla società.

Avv. Luca Membretti