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Con sentenza del 18 marzo 2022, n. 9405, la Corte di Cassazione è tornata a ribadire “la rilevanza distrattiva delle condotte dell’amministratore che, in assenza di delibera assembleare che stabilisca la misura dei suoi compensi, prelevi somme in pagamento dei crediti verso la società in dissesto, la cui congruità non sia fondata su dati ed elementi di confronto che ne consentano un’adeguata e oggettiva valutazione” (Cass. Pen., Sez. V, sent. 18 marzo 2022, n. 9405).

L’arresto in oggetto interviene a seguito del ricorso interposto dal Presidente del Consiglio di Amministrazione (divenuto, in un secondo momento, Amministratore Unico), condannato, in primo e secondo grado, per una pluralità di condotte di bancarotta fraudolenta patrimoniale e, segnatamente, per aver prelevato somme di denaro dalla fallita in un momento storico in cui la stessa versava in stato di sofferenza economica.

Con riferimento ai prelievi effettuati dall’amministratore, taluni venivano imputati alla voce “crediti verso amministratore” e, dunque, espressamente finalizzati a soddisfare le pretese creditorie dell’imputata nei confronti della società dalla medesima amministrata. Altri versamenti, invece, non erano corredati da una esplicita causale ma, in ogni caso, effettuati una volta che la società era già entrata in stato di insolvenza.

La sentenza in commento, peraltro, si pone in continuità con l’orientamento già consolidato della Suprema Corte, secondo il quale, invero,

integra il delitto di bancarotta fraudolenta per distrazione la condotta dell’amministratore che prelevi dalle casse sociali somme a lui spettanti come compensi per la carica ricoperta, qualora tali compensi, solo genericamente indicati nello statuto e non giustificati da dati ed elementi di confronto che ne consentano una oggettiva valutazione, siano stati determinati nel loro ammontare con una delibera dell’assemblea dei soci adottata “pro forma”, al solo fine di giustificare l’indebito prelievo

(ex multis,  Cass. Pen., Sez. V, 16 novembre 2020, n. 3191; Cass. Pen., Sez. V, sent. 5 giugno 2018, n. 30105; Cass. Pen., Sez. V, sent. 23 febbraio 2017, n. 17792; Cass. Pen., Sez. V, sent. 3 novembre 2016, n. 50836; Cass. Pen., Sez. V, sent. 27 ottobre 2009, n. 46959).

I giudici di legittimità equiparano, dunque, all’ipotesi di totale mancanza della necessaria delibera assembleare, il caso in cui tale delibera sia del tutto generica con riferimento alla entità dell’emolumento dovuto, ovvero il caso in cui l’emolumento sia stato effettivamente individuato ma con una determinazione puramente formale e, cioè, adottata solo per giustificare l’indebita fuoriuscita di somme dalla società.

In aggiunta a quanto sopra, la Suprema Corte ha, altresì, precisato che se, da un lato, la condotta dell’amministratore che effettui ingiustificatamente prelievi di somme a titolo di proprio compenso, integra, pacificamente, il reato di bancarotta per distrazione, i pagamenti effettuati in favore dei soci della fallita possono essere ricondotti, invece, a seconda delle peculiarità del caso concreto, a diverse fattispecie di reato.

In particolare, se il prelievo attenzionato è destinato alla restituzione, in favore dei soci, di versamenti in conto capitale dai medesimi effettuati, si riterrà configurata la ipotesi delittuosa di bancarotta fraudolenta distrattiva. Di contro, allorché il prelievo di somme da parte dell’amministratore sia destinato alla restituzione di versamenti operati dai soci a titolo di mutuo, tale condotta sarà idonea ad integrare la diversa fattispecie di bancarotta fraudolenta preferenziale (ex multis, Cass. Pen., Sez. V, sent. 21 giugno 2021, n. 32930; Cass. Pen., Sez. V, sent. 1° febbraio 2019, n. 4831).

Quanto sopra, peraltro, si spiega in ragione del fatto che, nel caso di restituzione dei versamenti in conto capitale, verrebbe soddisfatto un credito, in realtà, non esigibile da parte del creditore fintantoché la società sia in vita. Diversamente, la restituzione di erogazioni effettuate dai soci a titolo di mutuo configura l’estinzione di una posizione creditoria effettivamente esigibile, con la conseguenza che, mediante il versamento satisfattorio, viene preferito, appunto, un creditore della società (i.e. il socio) in danno di un altro.

Alla luce di ciò, la condotta di erogazione di versamenti da parte dell’amministratore di una società in sofferenza appare idonea ad integrare, a seconda delle circostanze, diverse fattispecie di reato. Ove l’erogazione sia effettuata a titolo di compenso e in mancanza di una specifica delibera assembleare e/o in presenza di una delibera assembleare puramente formale, all’amministratore potrà essere contestato il reato di bancarotta fraudolenta distrattiva. Ugualmente, nel caso in cui il versamento venga disposto in favore di uno o più soci a titolo di restituzione, totale o parziale, di un precedente finanziamento in conto capitale. A diverse conclusioni, da ultimo, si dovrà pervenire nel caso in cui l’erogazione sia disposta, sì, in favore del ceto societario ma a satisfazione di un credito riveniente dalla pregressa concessione di un mutuo in favore della società. In tale ultima occasione, invero, il comportamento dell’amministratore potrà integrare la fattispecie di bancarotta fraudolenta preferenziale. 

 

Avv. Daniele Speranzini