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L’istituto della continuazione di reati, di cui all’art. 81, comma II c.p., rappresenta un tertium genus, una figura “ibrida”, rispetto alle due diverse tipologie di concorso di reati previste dall’ordinamento italiano.
Ed invero, nella sua essenza, la figura giuridica in discorso appare riconducibile alla categoria del cd. concorso materiale di reati, consistendo tale istituto in una pluralità di azioni od omissioni ognuna integrante un illecito penale. Per quanto attiene, viceversa, il trattamento sanzionatorio, al reato continuato si applica il regime del cd. cumulo formale delle pene (previsto, invero, per il concorso formale di reati) e ciò, in ragione delle peculiari caratteristiche che lo connotano e lo accomunano alla figura dell’art. 81, comma I c.p.
A norma del secondo comma dell’art. 81 c.p., infatti, “chi con più azioni od omissioni esecutive di un medesimo disegno criminoso, commette anche in tempi diversi più violazioni della stessa o di diverse disposizioni di legge” soggiace alla stessa pena prevista per le ipotesi di concorso formale di reato (di cui al comma precedente), dovendo applicarsi la sanzione di cui alla fattispecie più grave tra quelle realizzatesi, aumentata fino al triplo.
In ordine, poi, alla natura del reato continuato, chiarificatrici appaiono le parole delle Sezioni Unite secondo le quali la figura in esame rappresenta una “unità giuridica” nell’ambito della quale le singole violazioni “sono rannodate a quel prius psicologico che costituisce il disegno criminoso” (Cass., SS.UU., 24 febbraio 1970, n. 19).
Ciò che, pertanto, distingue il reato continuato da un ordinario concorso materiale di reati – e che permette di considerare la pluralità di illeciti un fenomeno unitario – è proprio l’elemento del “medesimo disegno criminoso” in esecuzione del quale le infrazioni sono state realizzate.
Secondo il costante – e recentemente ribadito – insegnamento della Suprema Corte, il summenzionato requisito non attiene al tema della pericolosità sociale del reo, la valutazione della quale è sempre modificabile o revocabile, ma postula, di contro, la preventiva rappresentazione e deliberazione nelle loro principali coordinate delle condotte successivamente poste in essere (ex plurimis, Cass., Sez. I, 20 luglio 2018, n. 34363).
La valutazione in ordine alla sussistenza del “medesimo disegno criminoso”, in altri termini, si colloca sul piano soggettivo, con particolare riguardo alla identificazione di un fine unitario e alla conseguente ideazione di un programma complessivo, cui sono preordinate le diverse condotte illecite le quali, tuttavia, si caratterizzano nella loro esecuzione per singole e distinte determinazioni volitive.
L’unicità del programma criminoso, pertanto, implica una valutazione concreta e fattuale degli episodi delittuosi finalizzata alla ricerca di quel “prius psicologico” che legittima una lettura unitaria del fenomeno.
In ragione di tale approccio ermeneutico, chi intenda invocare il regime che ne occupa è tenuto ad allegare alle proprie istanze specifici elementi idonei a dare contezza della unicità della deliberazione di fondo che cementa tra loro le diverse condotte criminose.
Al riguardo, peraltro, i giudici di hanno identificato una serie di cd. “indici rivelatori della identità del disegno criminoso”, quali, a titolo esemplificativo, la distanza cronologica tra i fatti, le modalità della condotta, la sistematicità e le abitudini programmate di vita, la tipologia dei reati, il bene protetto, l’omogeneità delle violazioni, la causale delle stesse, le condizioni di tempo e luogo, ecc. (ex plurimis, Cass., Sez. I, 12 marzo 2013, n. 11564; Cass., Sez. I, 9 gennaio 2013, n. 8513).