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Come noto, coloro che operano nel settore medico-sanitario rivestono una posizione di garanzia nei confronti dei pazienti trattati, a tutela, in particolare, dell’integrità fisica e della salute di questi ultimi.

In ragione di tale circostanza, i predetti soggetti sono esposti, nell’ambito della loro attività, a responsabilità penale e, segnatamente, a responsabilità colposa di tipo omissivo. È proprio su questo tema che è tornata a pronunciarsi la Suprema Corte, facendo riferimento al particolare caso in cui, su di un unico paziente, siano intervenuti più esercenti la professione medico-sanitaria, lavorando in equipe, ossia cooperando nella cura del medesimo paziente.

Ebbene, la Cassazione ha statuito al riguardo come, ai fini dell’accertamento della responsabilità penale, non è sufficiente accertare la sussistenza della posizione di garanzia il capo al soggetto agente. I giudici di legittimità, infatti, hanno ribadito la necessità che vengano accertati ulteriori requisiti, ossia: l’intervenuta violazione, da parte del personale medico-sanitario, di una regola cautelare connessa allo svolgimento di quella specifica attività, la prevedibilità ed evitabilità dell’evento dannoso in ipotesi verificato nonché il nesso causale tra la violazione predetta e la verificazione dell’evento.

Laddove, poi, più medici – tutti titolari di una posizione di garanzia– si siano succeduti nel trattamento sanitario nei confronti di un singolo paziente, il giudizio di responsabilità non potrà essere unitario. Non si può, infatti, prescindere dalla considerazione che l’intervento di questi soggetti possa essersi diversificato, non solo, in relazione ai compiti svolti, ma anche in ragione del “tempo” in cui l’intervento terapeutico è stato posto in essere, in tempi e fasi diversi di evoluzione della malattia del paziente.

In caso di cooperazione multidisciplinare, quindi, è necessario distinguere la posizione di ciascuno ed accertare, in relazione alla singola condotta e al singolo ruolo svolto da ogni soggetto che sia intervenuto sul paziente, i requisiti fondanti la responsabilità omissiva, dianzi richiamati.

Il giudicante, in particolare, dovrà chiedersi, con riferimento al singolo imputato, quale sarebbe stato il comportamento alternativo diligente che ognuno di essi avrebbe dovuto adottare nonché quali conseguenze sarebbero derivate dall’attuazione dalla condotta salvifica e cioè, se sussiste o meno un nesso etiologico tra la condotta non diligente e l’evento dannoso in ipotesi verificatosi.

La Cassazione ha, dunque, precisato come: “in tema di successione di posizioni di garanzia, quando l’obbligo di impedire l’evento connesso ad una situazione di pericolo grava su più persone obbligate ad intervenire in tempi diversi, l’accertamento del nesso causale rispetto all’evento verificatosi deve essere compiuto con riguardo alla condotta e al ruolo di ciascun titolare della posizione di garanzia, stabilendo cosa sarebbe accaduto nel caso in cui la condotta dovuta da ciascuno dei garanti fosse stata tenuta, anche verificando se la situazione di pericolo non si fosse modificata per effetto del tempo trascorso o di un comportamento dei successivi garanti”.

– Cass. Sez. IV, sent. del 29.01.2020, n. 3745 –